Con i nuovi record al confine tra Stati Uniti e Messico nel primo trimestre del 2021, in molti parlano di crisi. Dylan Corbett, dell’Hoper Border Institute promosso dalle Chiese della frontiera, alla rivista dei gesuiti America: “Siamo ancora in attesa di azioni concrete da parte dell’amministrazione Biden”
L’afflusso di migranti e minori non accompagnati al confine tra Stati Uniti e Messico sta mettendo a dura prova la capacità di ospitare i richiedenti asilo e di testare la politica di immigrazione dell’amministrazione Biden. La rivista dei gesuiti degli Stati Uniti America ha intervistato Dylan Corbett, il direttore esecutivo dell’Hope Border Institute – un’organizzazione promossa dalle diocesi che si trovano sui due lati del confine – per conoscere la realtà della situazione, la politicizzazione dell’immigrazione e il ruolo della Chiesa Cattolica nell’affrontare la crisi dei migranti.
Spesso quando si parla di crisi al confine, si pensa a un numero incontrollato di persone, ma se si guarda solo agli arrivi al confine tra Stati Uniti e Messico nel primo trimestre del 2021, non c’è una crisi; non sono numeri senza precedenti o ingestibili. “È difficile parlare di una crisi in termini di numeri: per chi è ora in cerca di rifugio e asilo al confine tra Stati Uniti e Messico la probabilità di espulsione è elevata. È una crisi per le persone respinte e il numero crescente di minori”, ha raccontato Corbett.
Corbett – che è in prima linea a El Paso, Texas – vede la gente attraversare ogni giorno: studenti, famiglie, lavoratori. Migrano anche giovani e minori non accompagnati e circa 65.000 persone sono state rimandate in Messico sotto la politica trumpiana “Remain in Mexico”, che li teneva nel Paese in attesa dell’avvio dei procedimenti di asilo. Ma ora tutti quelli che arrivano sono rimpatriati con la forza in base a un ordine relativo alla pandemia chiamato Titolo 42, senza ascoltare le loro richieste e senza garantire loro un giusto processo.
Particolarmente preoccupante è la condizione dei bambini. Infatti, i minori non accompagnati – che dovrebbero restare sotto la custodia delle forze di frontiera solo per 72 ore e poi trasferiti – rimangono nei centri per giorni. Inoltre, le agenzie di frontiera non hanno esperienza nel dare rifugio alle persone per un periodo di tempo prolungato e le strutture in cui vivono sono terribili. A sud del confine, poi, sono i coyote a dominare il contrabbando. A nord, invece, il denaro influenza il modo in cui si trattano gli immigrati: molti dei centri di detenzione sono amministrati da società a scopo di lucro che hanno interesse a detenere sempre più migranti e minori.
La Chiesa cattolica ha giocato un ruolo importante nell’offrire ospitalità alle persone attraverso una rete di rifugi per migranti nella regione, in America Centrale e in Messico e qui al confine. Spesso coloro che sono in prima linea nella mobilità umana sono stati a lungo persone e comunità di fede. “La Chiesa ha molta esperienza pratica nell’accogliere lo straniero – nell’accogliere Cristo, che viene a noi nel migrante e solleva una la realtà in cui le persone in movimento non rappresentano qualcosa di cui aver paura, ma una sfida alla solidarietà umana”, commenta Corbett.
Molti migranti ripongono fiducia nella nuova amministrazione Biden, perché il nuovo eletto Presidente si è impegnato molto per ripristinare l’asilo al confine. “Ci sono state una serie di cose che l’amministrazione Biden ha fatto, dal cambiare la narrazione, al cambiare il tono su come parliamo di immigrazione. Quindi, c’è l’aspettativa che Biden abbia politiche più umanitarie al confine. In pratica, però, questo non è ancora successo” ha concluso Corbett.