Ex pescatori impoveriti dalla crisi economica che ha colpito il Paese provano a sopravvivere contrabbandando e saccheggiando le navi di passaggio: nei mari del Venezuela sono tornati i pirati. Sotto attacco dei bucanieri del Duemila sono soprattutto i colleghi della vicina isola di Trinidad e Tobago, che non navigano di certo nell’oro
Ci sono pirati, navi e saccheggi ma non è un film d’avventura, bensì l’ennesima storia tragica che arriva dal Venezuela in crisi. Proprio nel Paese sudamericano piegato dal 2013 da una recessione economica senza precedenti che ha già fatto 3 milioni di profughi, oggi al centro delle cronache di mezzo mondo per un quadro politico a dir poco instabile, da qualche tempo è tornato anche lo spettro dei pirati che da secoli non solcavano il mar dei caraibi e che oggi sono invece una piaga reale per chi si trova a transitare in quelle acque.
A indossare la benda nera sugli occhi sono ex pescatori venezuelani, vittime della crisi economica del Paese. Di fronte al collasso del mercato interno, infatti, i pescatori hanno perso le speranze di vendere ai concittadini il proprio pescato – che di per sé non conosce crisi in questo tratto di mare caraibico – e si sono impoveriti a tal punto da non avere nemmeno le risorse per mantenere gli strumenti del proprio lavoro. Così, con la barca come ultima e unica risorsa, alcuni pescatori venezuelani hanno scelto di reiventarsi pirati ispirandosi a un mestiere tanto leggendario quanto tradizionale dei Caraibi. I moderni pirati hanno installato la loro cittadella a Guiria, un tempo sede di una fiorente industria della pesca, dove oggi si sono concentrati ex dipendenti della flotta specializzata in tonni, fallita in seguito al programma di nazionalizzazione imposto dal predecessore di Maduro, Hugo Chavez.
Sotto attacco dei bucanieri del Duemila sono le navi di passaggio ma soprattutto i pescatori di Trinidad e Tobago, lo stato insulare che ha la sfortuna di distare appena 15 chilometri dalle coste venezuelane e che per questo è diventato una preda facile per i venezuelani. Le aggressioni si svolgono al calar della sera, quando i pescatori di Trinidad stanno rientrando ai villaggi e l’oscurità permette di non essere identificati: motoscafi compaiono dalla linea dell’orizzonte sui cui si staglia il profilo delle coste venezuelane e pescatori armati attaccano gli ex colleghi rubando loro barche e reti, saccheggiando il pescato e picchiando chi si oppone. Alcuni pescatori di Trinidad sono stati persino rapiti per ottenere un riscatto che può andare dai 5mila ai 30mila euro.
Cifre enormi per chi vive a Trinidad che, pur non toccato dalla crisi venezuelana, non naviga certo nell’oro. Per questo i pescatori esasperati hanno richiesto di essere scortati nella pesca dalla guardia costiera ma per ora non hanno ottenuto supporto e le aggressioni continuano con cadenza settimanale. Per contrastare le minacce, alcuni hanno preso a pescare solo di notte con le loro luci spente; altri hanno potenziato i motori delle loro barche per poter fuggire velocemente dalle aggressioni e continuare la propria attività di pescatore.
Viceversa, anche tra i pescatori locali c’è chi ha deciso di scendere a patti con i pirati venezuelani e di usare la sua barca per il contrabbando tra Trinidad e il Venezuela. Anche in questo caso a rimetterci sono altri poveri: i bucanieri, infatti, portano droga e armi da fuoco dalla terraferma sull’isola e – una volta rivenduto il loro carico – rientrano in patria con beni quali pannolini, olio e riso di cui i venezuelani sono a corto e che, acquistati a Trinidad, vengono poi piazzati sul mercato nero di Caracas a quattro volte il loro valore.