Le speranze suscitate dall’incontro del Papa col presidente Maduro sono durate lo spazio di un mattino. Caracas resta paralizzata dallo scontro tra poteri che aggrava la crisi economica. Ma l’unica via è quella del superamento dei massimalismi, per un dialogo possibile
Pare proprio che la speranza che in Venezuela possa prosperare il dialogo tra Governo ed opposizione sia piú viva all’estero che nel Paese. La recente udienza concessa in modo inatteso lunedí dal Papa al presidente Nicolás Maduro, seguita dall’annuncio di una nuova serie di colloqui convocati a Isla Margarita per il giorno 30, data dall’inviato papale Emil Paul Tscherrig, aveva fatto sperare che le parti avessero raggiunto un accordo in merito. Ed è la notizia che vari Paesi vicini ormai attendono da tempo.
Ma questa speranza é durata il tempo di un sospiro: vari leader dell’opposizione raggruppati nella MUD (tavolo di unitá democratica, in spagnolo) subito il giorno dopo hanno sconfessato l’iniziativa e proclamato una giornata di protesta, messa in atto ieri a Caracas, con una presenza massiccia di cittadini scesi in piazza per protestare contro il Governo di Maduro.
Che il dialogo fosse improbabile lo segnalavano vari analisti, che hanno interpretato l’atteggiamento di apertura di Maduro come un escamotage per guadagnare tempo per poi lasciare senza risultati ogni contatto con l’opposizione, come é accaduto già quest’anno e nel 2014. Da parte sua, Herique Capriles, governatore dello stato di Miranda e due volte candidato alla presidenza, ha affermato che il Papa ha ricevuto “il diavolo” in persona, nella figura del presidente. E anche nelle fila del governo figure chiave, come Diosdado Cabello, giá da tempo avevano negato la possibilitá di negoziare con la MUD – considerata come espressione della destra – una via di uscita alla crisi istituzionale che vede confrontarsi tra loro gli stessi poteri dello Stato.
Siamo in rotta di collisione? Certo la situazione non é facile, anzi é delicata, e le parti hanno perso la fiducia l’uno dell’altro. La presenza di oppositori in carcere, spesso con argomenti di dubbia consistenza giuridica, non favorisce il dibattito sereno. Il governo controlla le finanze e gran parte dei poteri dello Stato, l’opposizione controlla l’Assemblea legislativa, ma é praticamente neutralizzata dalla corte suprema che l’ha dichiarata in disobbedienza per non aver sospseso tre legislatori il cui mandato é stato impugnato.
Sul piano strettamente politico, il referendum per revocare il mandato del presidente è stato vanificato dalla decisione dei tribunali di sei stati che hanno denunciato la presenza di firme false tra quelle raccolte ad aprile per promuovere la consultazione popolare. In realtá erano false un numero di firme che non influiva sulla quantitá necessaria per mettere in moto il referendum (200 mila). Ma la decisione dei tribunali e quella della Commissione Elettorale Nazionale di stabilire requisiti di dubbia costituzionalitá nella seconda raccolta di firme prevista dalla legge, ha reso chiaro all’opposizione che il referendum “non s’ha da fare”. Il chavismo ha fatto di tutto per evitarlo, dilatando i tempi del meccanismo previsto dalla legge, anche perché i sondaggi indicano che un numero superiore al 60% dei votanti oggi sarebbe a favore della destituzione del presidente.
Va pure detto che le interpretazioni addomesticate delle norme costituzionali non sono prerogativa del chavismo. Questo martedì il parlamento ha promosso un giudizio politico contro il presidente Maduro; un atto che la Costituzione non prevede affatto, per ammissione dello stesso presidente del corpo e membro dell’opposizione, Henry Romos Allup.
La situazione é pertanto di stallo istituzionale: l’esecutivo prescinde del legislativo, con l’appoggio della giustizia (il bilancio é stato approvato per decreto «obbedendo» a una disposizione della corte suprema). Nel frattempo, il resto del Paese é avvolto da una crisi economica gravissima dai risvolti di emegenza umanitaria: scarseggiano generi anche di prima necessitá (il 70 per cento degli ospedali é privo di medicine, anche le piú semplici). E bisogna pregare che lo scontro politico, come nel passato, non abbbia risvolti violenti per via dell’azione irresponsabile dei settori piú radicalizzati (che non mancano, sia da un lato che dall’altro).
Il rifiuto del dialogo paralizza o neutralizza anche l’azione dei mediatori, l’Unione delle Nazioni del Sud (Unasur), tre ex capi di stato e la stessa Chiesa, chiamati a faciltare il dialogo. La via d’uscita apparirá solo quando le parti deporranno le loro posizioni massimaliste per sedersi al tavolo dei negoziati per mettere a fuoco il bene comune da salvare, che è la convivenza sociale in termini accettabili. Il risultato non sarà certamente l’ottimo, ma quello possibile.