Gli afrodiscendenti brasiliani sono vittime di pregiudizi e di discriminazioni: ogni anni vengono uccisi 23mila giovani neri. L’Onu lancia una campagna di sensibilizzazione contro il razzismo a tutti i livelli.
In Brasile, su dieci persone assassinate sette hanno la pelle nera. Gli afrodiscendenti hanno 12 volte più probabilità di essere uccisi rispetto agli altri brasiliani. Tra i giovani di età compresa tra 15 e 29 anni, ogni 23 minuti viene uccisa una persona dalla pelle nera; questo vuol dire che in un anno perdono la vita 23 mila giovani.
Il tasso di omicidi di cittadini neri del Brasile, dove più della metà della popolazione è di discendenza africana, è aumentato del 18% dal 2005 al 2015, mentre tra i bianchi è diminuito del 12%.
Questi dati sono stati presentati dall’ufficio brasiliano dell’Onu in occasione del lancio, lo scorso 7 novembre della campagna #VidasNegras (“vite nere”), un’iniziativa che rientra tra quelle della decade internazionale che le Nazioni Unite stanno dedicando agli afrodiscendenti in tutto il mondo (2015-2024). E in vista del 20 novembre, la giornata della “Consciência Negra”.
La campagna brasiliana chiede la fine delle violenze contro i giovani di origine africana, e combatte apertamente il razzismo; si rivolge a tutta la società, dalla politica al sistema giudiziario, dal settore privato ai movimenti sociali. Tra i suoi obiettivi c’è la prevenzione del razzismo e la lotta alle discriminazioni razziali, che, come ha detto il coordinatore ONU in Brasile Niky Fabiancic, sono “una delle principali cause storiche della situazione di violenza a cui è sottoposta la popolazione nera” nel paese.
I movimenti neri brasiliani da anni affermano che quello in atto contro i giovani afrodiscendenti è un vero e proprio genocidio, che mira a cancellare anche la cultura di origine africana. Per capire questa denuncia, alle uccisioni sommarie per mano della polizia di giovani neri si devono sommare gli ostacoli che la popolazione afro deve affrontare per avere accesso all’istruzione universitaria e ai servizi sanitari; si deve aggiungere il fatto che, con poche eccezioni, i neri occupano soprattutto le fasce più povere della società, e sono impiegati nei lavori meno retribuiti. Le carceri sono piene di giovani afrodiscendenti, che la società non considera vittime, ma potenziali criminali. Secondo un sondaggio del governo federale brasiliano, il 56% dei brasiliani concorda sul fatto che “la morte violenta di un giovane nero colpisce la società meno della morte di un giovane bianco”, mentre più dell’80% è favorevole ad abbassare l’età della responsabilità penale da 18 a 16 anni. La criminalizzazione dei minori poveri e neri è parte integrante del piano di controllo sociale della polizia; un piano che nel 2016 si è reso responsabile di 4.224 decessi, il 6.9% del totale di morti violente in Brasile e il 21% in più rispetto all’anno precedente.
La repressione è l’unica arma messa in campo da polizia e istituzioni per contenere la criminalità; l’idea che per cambiare veramente le cose si debbano migliorare le condizioni di vita delle classi più povere (le quali sono in prevalenza di origine africana) non viene presa in considerazione. Anzi: nel 2016 un emendamento costituzionale ha posto un limite alla spesa pubblica, già in calo di anno in anno. Questa decisione, legata anche alla recessione e alla crisi politica e istituzionale, influisce direttamente sul peggioramento degli indicatori sociali, e sta aumentando disuguaglianze e divario sociale. L’aumento della criminalità è una diretta conseguenza.