Dopo il passaggio dell’uragano Matthew i “fidei donum” milanesi presenti sull’isola cercano di reagire insieme alla popolazione. Preparando un Natale di grande precarietà, ma anche di gioia
C’erano prima. E continueranno a esserci. Ad accompagnare un popolo che sembra flagellato da una sciagura dopo l’altra. Sono i missionari fidei donum milanesi che sull’isola caraibica di Haiti sono arrivati tredici anni fa, seguendo l’ispirazione – o come direbbe lui – il “sussurro dello Spirito” di don Giuseppe Noli. Figura carismatica e pionieristica, don Giuseppe – dopo una lunga permanenza in Perù – aveva sentito il desiderio di mettersi al servizio di una Chiesa e soprattutto di una popolazione ancora più povera, offesa e umiliata.
L’uragano Matthew, che lo scorso ottobre si è riversato su Haiti, non è che l’ennesima catastrofe che si abbatte su un popolo piegato e vessato da una storia di violenze, soprusi e oppressione e da una natura spesso matrigna, che regolarmente porta morte e distruzione, dalle viscere della terra con devastanti terremoti, o con la furia di venti, piogge e mareggiate incontenibili.
«Quest’altra batosta proprio non ci voleva! – commenta don Claudio Mainini da Mare Rouge, nel Nord-ovest dell’isola -. E qui non abbiamo conosciuto la situazione peggiore! Nel Sud, danni e morti sono stati ancora più ingenti, a causa delle violente mareggiate». Don Claudio si trova ad Haiti da tre anni. Nell’isola, ci sono attualmente altri due preti fidei donum, don Giuseppe Grassini, a Ti Rivière nella parrocchia di Saint Gérard Majella, e don Levi Spadotto, a Jean Rabel, nella nuova parrocchia di Saint Croix da Ka-Philippe. Più una laica missionaria, Maddalena Boschetti, la “veterana” di Haiti, presente sull’isola da molto tempo e con una convenzione con l’ufficio missionario ambrosiano da sette anni: il suo è un lavoro straordinario soprattutto con le persone disabili e i loro familiari.
I quattro fidei donum milanesi sono tutti nella diocesi di Port de Paix, ma in posti diversi, teoricamente vicini, ma a volte difficilmente raggiungibili a causa delle strade dissestate. A maggior ragione ora, a causa delle devastazioni provocate dall’uragano. «Noi siamo in una zona montagnosa – conferma don Claudio – e le forti piogge che hanno fatto seguito al tifone hanno peggiorato ulteriormente la situazione: ci sono stati smottamenti, i campi, sia quelli già seminati che quelli pronti per la semina, sono stati completamente rovinati, la strada è franata e non si può passare, oppure si finisce impantanati con l’auto senza potersi più muovere».
Anche don Levi conferma la preoccupazione soprattutto per i raccolti: «Ci sono stati danni alle colture e ai terreni. Ma il danno economico più vistoso è stata la strage di animali: caprette, pecore, asini e buoi. Capre e pecore, in particolare, rappresentano il conto in banca per le famiglie haitiane, una riserva estremamente necessaria. Solo nel mio territorio parrocchiale le caprette morte sono state 4.300, oltre a 125 pecore e a decine di maiali, asini e buoi». «Sembrava che la gente riuscisse lentamente a consolidare uno stile di vita un po’ meno precario – gli fa eco don Claudio -, invece questo ennesimo tifone ha di nuovo scombinato tutto. A volte, si fa fatica a capire come la gente possa andare avanti. Si vive sempre al limite, anche nelle situazioni di normalità. Questa ora assomiglia a una lenta agonia».
Eppure, nonostante tutto, la popolazione trova risorse impensabili per aggrapparsi alla vita e guardare al futuro. Causa la scarsissima assistenza ed efficacia delle azioni governative, specialmente fuori dalla capitale Port au Prince, la gente spesso mette in campo azioni di auto-aiuto. Chi ha poco condivide con chi non ha più niente. «Chi ha avuto la casa danneggiata o distrutta – testimonia don Levi – ha trovato ospitalità presso parenti e amici. In questo momento, noi non possiamo fare nulla, o non subito, per riparare le abitazioni. E neppure per ricomprare gli animali perduti. Piuttosto riteniamo che la priorità sia quella di aiutare le famiglie a ricomprare le sementi. È un aiuto che offre speranza e non si riduce alla mera assistenza, ma incoraggia l’intraprendenza e lo sforzo degli stessi haitiani».
E’ d’accordo anche don Claudio: «La cosa fondamentale – dice – è cercare di far ripartire un minimo l’economia. La Caritas diocesana ha fatto distribuzioni di cibo nelle zone più critiche. Ma è in prospettiva che bisogna guardare». Lui stesso è impegnato in prima persona innanzitutto per la ricostruzione del tetto della chiesa e di quello della scuola, per permettere ai ragazzi di tornare al più presto in classe. E anche questo per dare una prospettiva di futuro. «Qui i problemi sono sempre tanti – conclude don Claudio – e queste tragedie abbattono ancora di più il morale. Per questo dobbiamo continuare a stare accanto alla gente e cercare di aiutarla a rimettersi in piedi e a ripartire. Grazie agli aiuti che ci giungono da tanti amici italiani proviamo a supportare anche altre parrocchie haitiane, che non hanno nessuna forma di sostegno. Questa vicinanza e questa condivisione ci incoraggiano molto e ci aiutano ad avvicinarci al Natale con un senso di gioia e riconoscenza anche se lo vivremo in situazione di grande precarietà».