I cittadini Usa di origini indiane sono più che raddoppiati nell’ultimo ventennio. E l’elezione di una vice-presidente proveniente da questa comunità si accompagna a un avvicinamento geopolitico tra Stati Uniti e India, già in corso da tempo
C’è un libro (La maga delle spezie), pubblicato nel 1997 dall’autrice indo-americana Chitra Banerjee Divarakuni, da cui nel 2006 è stato tratto un film di buon livello che ruota attorno al personaggio centrale interpretato ottimamente dall’ex miss Mondo Aishwarya Rai. In entrambe le versioni, la protagonista – che vive una vita in sintonia con gli aromi delle sue spezie importate, auto-reclusa nel suo negozio in un’area popolare di Oakland, nell’area di San Francisco – riesce a modificare positivamente l’esistenza di diversi personaggi che a lei si avvicinano, diventando per loro – attraverso la sua profonda indianità applicata a una sensibilità universale – un riferimento essenziale in tempi particolari delle loro vite.
Un eccellente libro e un ottimo film che segnalano la possibilità per una realtà come quella indiana di incontrare altre culture e di esserne partecipe a sua volta, influenzandole in modo positivo senza perdere se stessa o necessariamente arrivare a una sintesi.
Nata nella stessa città dove la Divarakuni ha ambientato la sua storia, di origini indiane da parte materna, Kamala Harris oggi si appresta a diventare la vice-presidente degli Stati Uniti, dopo che i principali network americani – a spoglio delle schede ormai quasi completato e al netto della battaglia legale promessa da Donald Trump – hanno ormai «chiamato» la vittoria di Joe Biden nella corsa alla Casa Bianca.
Cinquantaquattrenne, ex procuratrice della California e in Senato dal 2016 – nonché possibile prima candidata presidente-donna per i Democratici nel 2024 – Kamala Harris rappresenta oggi il più qualificato finora trait d’union tra la sua comunità d’origine e i vertici della politica americana. La sua elezione garantirà anche una maggiore visibilità e prestigio a una comunità mediamente tra le più benestanti tra le molte che compongono la società americana.
Negli Stati Uniti di oggi sono quasi quattro milioni gli abitanti di origine indiana (2018), una componente etnica che meno di altre ha subito per la sua scelta migratoria tensioni o emarginazioni dettate dalla storia del Paese d’accoglienza o da quello di origine. Un contesto che ha alimentato anche una nuova immigrazione che ha portato a più che raddoppiare la comunità in meno di un ventennio e ad incrementare innovazione, ricerca e produttività del sistema statunitense attraverso le energie, la progettualità e le competenze di un gran numero di giovani indiani.
Significativo che il positivo risultato elettorale di Kamala Harris si collochi in un momento di riavvicinamento tra Stati Uniti e India a fronte delle iniziative cinesi sul piano strategico e militare, con l’India che sta diventando un alleato indispensabile per Washington come parte del Quad (alleanza informale anche militare tra Usa, India, Giappone e Australia) e di una più vasta strategia di contenimento delle pretese territoriali cinesi in Asia e Pacifico.
Significativo anche l’incremento di rapporti commerciali, come pure una maggiore apertura ai visti per studenti e imprenditori indiani verso gli States. Insomma, un tempo di distensione di vaste prospettive a cui l’affermazione della Harris darà sicuramente un’ulteriore slancio.