Mentre Trump sta pianificando la costruzione del muro di separazione fra il Messico e gli Stati Uniti, c’è chi si impegna a gettare ponti di sviluppo umano. Il racconto di padre Ferdinand dalla periferia di Città del Messico.
Mentre Donald Trump sta pianificando la costruzione del muro di separazione fra il Messico e gli Stati Uniti cercano di “abbattere il muro di separazione” (Efesini 2,14). Dove cresce l’abisso della separazione fra ricchi e poveri, i nostri confratelli si impegnano a costruire ponti: ponti di sviluppo umano, di coesione sociale, di dignità per le popolazioni indigene.
Nel mese di maggio 2016, i nostri confratelli Deodato Mammana e Damiano Tina hanno cominciato una presenza nella diocesi di Ecatepec. È una missione nella periferia di Città del Messico. Il quartiere si chiama “Cartolandia” e il nome dice tutto: traduce la precarietá delle case in questa baraccopoli sorta lungo le rotaie de “La Bestia”, il treno che portava gli indios verso il confine con gli Stati Uniti.
Qui vivono i Nahuatl, indios venuti dai loro villaggi alla ricerca di una vita migliore o per sfuggire all’insicurezza. Alcuni non sanno lo spagnolo e non hanno neanche l’atto di nascita. Per il governo Messicano, questi indigeni non esistono, non solo perché non sono registrati all’anagrafe, ma anche perché non presi in conto nei programmi sociali di sviluppo umano.
I confratelli del Pime stanno facendo una campagna per registrare gratuitamente coloro che non hanno i documenti. Si sta promovendo anche un corso base di spagnolo per adulti e ragazzi. Insomma, nel Messico attuale, bisogna andare a “Cartolandia” per vedere quanto grande è il divario fra le classi sociali.
In questa condizione, i nostri missionari lavorano e vivono con un profilo molto basso: poveri fra i poveri. Non hanno l’auto, né vivono in canonica. Si spostano in taxi e occupano due stanzette nel seminario diocesano. In una zona di pericolo costante dove assaltano per un cellulare, l’austerità salva la vita. Il Pime gestisce una cappella, e per il momento non si vede la necessità di assumere una parrocchia. “Prima ci sediamo, dopo stendiamo le gambe”, così ci insegna la saggezza africana.
La sola presenza di padri stranieri in quel quartiere, dove gli stessi messicani non vogliono neanche transitare, è una testimonianza molto grande, nata sulla scia dell’invito di Papa Francesco ad essere presenti nelle periferie del mondo, quelle geografiche ma anche quelle sociali.
padre Ferdinand Komenan è missionario del Pime in Messico