La testimonianza di Maurizio Barcaro, che a Port-au-Prince e Jeremie gestisce alcune scuole sostenute da Fondazione Pime: «L’opposizione spinge i giovani in piazza, ma intanto la gente non ha da mangiare»
Haiti è di nuovo nel caos. Mentre l’opposizione invita la popolazione a scendere in piazza per cacciare il presidente Jovenel Moise, uscire per le strade è diventato quasi impossibile per la gente comune, che rischia di rimanere intrappolata tra le barricate in fiamme e le sassaiole dei manifestanti in varie zone del centro città.
Sono già tre anni che, periodicamente, gli oppositori politici cercano di scacciare il presidente con manifestazioni violente, saccheggi e il blocco del Paese. Jovenel Moise è stato eletto nel 2016 con oltre il 50% dei voti ma, a causa delle accuse di brogli elettorali e delle conseguenti verifiche, sono passati mesi prima che potesse prendere le redini del Paese. Nei fatti, il suo mandato è iniziato a febbraio 2017 e, poiché esso dura cinque anni, per Jovenel terminerà nel 2022, mentre secondo l’opposizione il periodo deve essere calcolato dall’elezione e quindi avrebbe dovuto scadere lo scorso febbraio.
Il presidente non ha mai ceduto alle pressioni politiche né alle violenze di strada e non sembra avere intenzione di cedere ora, anche perché può contare sull’appoggio della comunità internazionale, di una bella fetta della popolazione, delle forze di polizia e di una parte della classe politica. All’opposizione resta solo il sostegno di una parte di haitiani che manipola facilmente con una retorica di piazza senza fondamento, bugie e l’aiuto di bande di giovinastri che per quattro soldi seminano il terrore per le strade. Giovani senza famiglia o lavoro, che non hanno nulla da perdere e promuovono violenze e saccheggi.
Ma Jovenel Moise ha molti sostenitori. In città e paesi di provincia ha fatto costruire strade asfaltate al Nord, Sud e Ovest del Paese, collegando alla rete viaria cittadine che avevano solo strade sterrate. Ha sviluppato programmi agricoli, costruzione di scuole e centri sanitari e fatto in modo di portare l’energia elettrica in diverse aree di provincia, dove per questa ragione è amatissimo. È invece nella capitale, così come a Cap Haitien et Gonaive, nel Nord, che il presidente non è ben visto e gli oppositori cercano costantemente di deporlo.
La mia analisi può sembrare semplicistica, ma è quella della gente comune, delle mamme che soffrono e faticano a sostenere e sfamare la famiglia, dei padri che fanno lavori umili e faticosi per pochi soldi, dei giovani che non hanno la più pallida idea di che futuro avranno e che con il tempo si sono resi conto che il Paese non offre avvenire.
Ormai è da oltre due anni che la situazione si è fatta ancora più critica per la povera gente. Tutto il 2019 era stato piagato da manifestazioni più o meno violente, soprattutto verso la fine dell’anno: le scuole hanno riaperto solo per un paio di settimane a dicembre. A metà marzo dell’anno scorso, poi, ecco arrivare l’emergenza Coronavirus anche qui. Scuole chiuse immediatamente, mascherine, distanziamento consigliato (ma impossibile da mettere in pratica), esodo di persone che, prese dal panico, sono letteralmente fuggite nei paesi di provincia: tra queste anche tante famiglie dei bambini che frequentano le nostre scuole.
C’era il terrore che il virus avrebbe potuto causare un disastro biblico, visto che qui non esiste un’assistenza sanitaria funzionante. Invece, a posteriori, possiamo dire che il contagio ha impattato leggermente: anche se non esistono dati sicuri, le vittime sembrano essere state poco più di 200 e non si è verificato un contagio di massa.
Le ricadute economiche della pandemia, invece, si sono fatte sentire notevolmente e tuttora viviamo una situazione di povertà e miseria molto severa. Per qualche mese il valore della moneta locale ha oscillato pesantemente, in un “saliscendi” che alla povera gente che invade le strade ogni giorno in cerca di sostentamento ha causato non pochi problemi, a cominciare dalla scarsità di cibo. Non che mancasse sul mercato, ma costava troppo… e costa troppo anche ora. Come se non bastasse, la criminalità è salita vertiginosamente nel corso del 2020. Bande che si combattono fra di loro per il controllo di certe zone, il ritorno del fenomeno dei sequestri di persona, la polizia che non riesce ad arginare le violenze di questi gruppi che usano armi d’assalto (chissà da dove arrivano…). E poi l’insicurezza per le strade, la paura fra la povera gente che deve uscire per cercare di trovare qualcosa per la famiglia.
E, mentre il popolo soffre, l’élite politica cerca potere e prestigio e persegue interessi personali, attraverso la demagogia e le bugie.
Sono ad Haiti da 27 anni ed è la prima volta che vedo la fame, nel senso che proprio alle famiglie manca il cibo. Ricordo gli esodi di haitiani che con barche di fortuna cercavano di raggiungere le coste della Florida fra il 1994 e il 1997, un periodo di colpi di Stato e violenze dell’esercito che allora terrorizzava la popolazione. Scene simili tra il 2004 e 2006, quando ci fu un periodo di pura anarchia durante il quale apparve per la prima volta il fenomeno dei sequestri di persona. Poi il catastrofico terremoto del 2010, con 220 mila morti e distruzioni enormi.
Da un paio d’anni sono ricominciate le partenze per destinazioni come Cile, Perù, Brasile: Paesi che danno un visto automatico di tre mesi all’aeroporto nel momento dell’ingresso. Tanti se ne vanno verso la Repubblica Domenicana, dove è facile ottenere un visto di entrata e dove comunque si può entrare illegalmente senza problemi in diversi punti della frontiera terrestre… certo poi si corre il rischio costante di essere deportati. Non giudico se queste persone fanno bene a emigrare o no. Probabilmente, se fossi nelle loro condizioni, farei la stessa cosa.
Mi sembra che ad accomunare quelli che lasciano Haiti sia il voler vivere senza ansia permanente, senza la paura di non tornare a casa la sera o la costante apprensione per il futuro dei figli. La ricerca di un sogno. 7
Box- COME AIUTARE
A Port-au-Prince Maurizio Barcaro gestisce una missione con una scuola aperta ai più poveri, mentre a Jeremie, a 400 km dalla capitale, ne ha avviata una affinché i bambini possano accedere all’istruzione primaria. Per sostenere il suo lavoro è possibile sottoscrivere un Sostegno a distanza del progetto P4002, compilando il modulo su pimemilano.com e seguendo le modalità indicate, oppure scrivendo a adozioni@pimemilano.com