Saltato su una mina in Centrafrica, padre Norberto Pozzi è sopravvissuto miracolamente. E continua a testimoniare il senso di una presenza carmelitana nel Paese africano che dura da oltre cinquant’anni
La guerra oltre la guerra. Quella che continua anche dopo che sono finiti gli scontri, quella strisciante e crudele che colpisce soprattutto la popolazione civile. A farne le spese è stato anche padre Norberto Pozzi, 71 anni, missionario carmelitano che lo scorso 10 febbraio è saltato su una mina nei pressi della sua missione di Bozoum, nel Nord-ovest della Repubblica Centrafricana. Sopravvissuto per miracolo, hanno dovuto amputargli una parte della gamba sinistra. Sono oltre cinquanta gli incidenti di questo genere, con morti e feriti, registrati lo scorso anno, e 14 nelle prime sei settimane del 2023.
«Sino a un anno fa nella nostra zona non c’erano problemi di ribelli o di mine», spiega padre Norberto dal letto dell’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna, dove è stato ricoverato lo scorso 24 febbraio, dopo un lungo volo da Kampala, via Amsterdam, che lo ha riportato in Italia: qui deve affrontare ulteriori operazioni e una lunga riabilitazione in vista dell’applicazione di una protesi. A parte l’esplosione, che poteva costargli la vita, ricorda tutto di quella tragica mattinata e ricostruisce il contesto di instabilità che caratterizza il Paese in cui vive, quasi ininterrottamente, dal 1980. «Recentemente – ci racconta – la situazione attorno a Bozoum è un po’ peggiorata. Anche perché non c’è nessuno che si impegni veramente a fronteggiare i ribelli, né l’esercito governativo né le forze dell’Onu. E allora fanno quello che vogliono. A pagarne le conseguenze sono soprattutto i civili e noi missionari che viviamo con loro. Un mio operaio mi aveva avvertito che più avanti, verso la montagna, avevano iniziato a mettere le mine. E, infatti, avevamo intenzione di fermarci al primo villaggio, distante un paio di chilometri, per chiedere informazioni più precise».
Purtroppo a quel villaggio padre Norberto non è mai arrivato. «Il fenomeno delle mine è in tragico aumento – conferma il confratello padre Aurelio Gazzera che vive pure lui a Bozoum – e questo ci ribadisce che la situazione in Centrafrica è tutt’altro che stabilizzata e sicura. Anzi, pare che i gruppi ribelli stiano disseminando di mine anche zone che fino a poco tempo fa non ne erano interessate. È molto preoccupante, anche perché, come spesso succede in questo Paese, ne va della vita della gente comune, che continua a sopravvivere in una condizione di grande povertà e insicurezza».
Padre Norberto, arrivato in Centrafrica nel 1980 come geometra, vi è tornato da missionario nel 1995, dopo essere diventato carmelitano. Quella mattina viaggiava con altre persone che sono rimaste ferite in modo non grave. Si stavano recando in un villaggio per incontrare la comunità cristiana e per riparare la scuola. Un uomo in motocicletta, che poco prima aveva superato l’auto, sente il boato e torna indietro. Il racconto del fratello Claudio Pozzi è tragico: «La scena è drammatica, ma lui non si perde d’animo. Non può chiedere aiuto a nessuno. E allora si arrangia. Estrae Norberto dall’auto, lo carica sul sedile della moto e fa salire dietro di lui un giovane scampato all’incidente, col compito di sorreggere il ferito. Poi sale in sella e guida la moto per 22 km, su una strada sterrata piena di buche, sapendo che Norberto sta per morire. Raggiunge così il piccolo ospedale di Bozoum, dove affida il ferito a una dottoressa, che gli presta le prime cure, gli fascia le ferite e lo trasfonde. Grazie a loro, Norberto non muore. Dopo qualche ora arriva un elicottero delle Nazioni Unite, che lo trasporta all’ospedale di Bangui, la capitale. Perderà una gamba, ma conserverà la vita».
Padre Norberto è sopravvissuto per miracolo, grazie anche alla solidarietà della gente: «Lì tutti mi conoscono benissimo. Avendo visto quello che mi era successo, sapevo che non avrebbero esitato a soccorrermi», può raccontare oggi. Ma per la popolazione locale, gli strascichi di questa guerra strisciante continuano a provocare morti e feriti e ad aggravare povertà e precarietà. Secondo le Nazioni Unite, la Repubblica Centrafricana sta vivendo una delle situazioni più catastrofiche al mondo in termini di sicurezza alimentare, insieme a Ciad, R.D. Congo e Madagascar. Si stima che quasi metà della popolazione (oltre due milioni di persone) abbia bisogno di aiuti umanitari urgenti.
Il contesto si è deteriorato non solo per l’instabilità che regna da oltre dieci anni, ma anche per i cambiamenti climatici e le conseguenze indirette della guerra in Ucraina che ha provocato un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e del carburante. «La condizione della gente è drammatica – ribadisce padre Aurelio -; non c’è nessuna misura sociale, i salari dei dipendenti sono bloccati da anni e la maggior parte della popolazione vive del poco che coltiva e che, a causa della mancanza di sicurezza, spesso non riesce neppure a trasportare e a vendere al mercato. Molti sopravvivono di espedienti. Spesso le famiglie non hanno niente per mandare i figli a scuola o per curarsi».
Da oltre cinquant’anni i carmelitani scalzi condividono le difficili condizioni della gente del Centrafrica, dando un grande contributo soprattutto sul fronte dell’educazione. Era questo, infatti, l’ambito in cui era impegnato anche padre Norberto. A Bozoum, i carmelitani hanno una parrocchia e gestiscono una grande scuola che va dalla materna al liceo, con oltre 1.300 studenti. Le scuolette dei villaggi, invece – una ventina in tutto – sono frequentate da circa 2.500 bambini e la missione si fa carico anche degli stipendi degli insegnanti. Inoltre, a Bozoum c’è un centro diurno per orfani con circa 200 bambini.
Padre Aurelio, che è stato a lungo direttore della Caritas, è impegnato innanzitutto nel settore dell’agricoltura. Nel 2004, ha creato una Fiera agro-alimentare, che nel tempo è cresciuta moltissimo, con migliaia di persone coinvolte, nonostante le difficoltà dovute alla guerra che ha investito direttamente Bozoum nel 2013. «Quest’anno la Fiera è andata molto bene – racconta il carmelitano -: il numero degli orti è raddoppiato e per la prima volta erano coinvolti anche alcuni ragazzi delle nostre medie e del liceo. Inoltre, abbiamo appoggiato anche la Fiera di Bouar, dove i carmelitani hanno un convento, un noviziato con 7 giovani e, poco distante, un seminario con un’ottantina di studenti più una scuola che ne ha circa 200 dalle elementari al liceo».
«Non c’è pace senza sviluppo», è convinto padre Aurelio che rimarca anche il grande valore simbolico della Fiera, un luogo in cui viene valorizzato il lavoro della gente nella legalità. «Purtroppo ci sono troppa corruzione e sfruttamento – dice il missionario, che ricorda come il Centrafrica sia il secondo Paese al mondo, dopo il Venezuela, ad aver introdotto ufficialmente le criptovalute, funzionali a un sistema opaco di pagamenti e traffici -. Tutti provano a mettere le mani sulle enormi ricchezze del Centrafrica, dai cinesi ai mercenari russi del Gruppo Wagner, che sono stati ingaggiati dal governo per portare sicurezza, ma intanto sfruttano le miniere d’oro».
In questo contesto è difficile immaginare il futuro. Anche per le giovani generazioni. È quello che percepisce con forza padre Federico Trinchero, attualmente superiore dei carmelitani in Centrafrica e responsabile del seminario di Filosofia a Bangui, dove i frati gestiscono anche una scuola agricola, realizzata con i fondi dell’8 per mille.
«È una realtà unica che vorrebbe fornire competenze soprattutto ai giovani affinché possano dedicarsi all’agricoltura in modo più professionale». Sono una cinquantina quelli che frequentano i corsi che durano due anni: «Volevamo fare un’attività di promozione sociale e abbiamo pensato che fosse importante valorizzare il potenziale agricolo di questo Paese. Spesso i giovani pensano che lo sviluppo sia altra cosa o che non abbiamo alternative all’emigrazione negli Stati limitrofi o dell’Africa occidentale. Purtroppo, in questo momento li vedo piuttosto scoraggiati. Sentono che il loro Paese non decolla».
Anche per questo, i carmelitani propongono da alcuni anni delle borse di studio universitarie per contribuire a creare la nuova élite. È un percorso lungo e paziente ma, passo dopo passo, si sta facendo un po’ di strada anche in Centrafrica.
Dal 1971 vicini alla gente
I carmelitani scalzi sono presenti in Centrafrica dal 1971. Attualmente sono 7 italiani e 15 centrafricani, in 5 missioni. La prima fu quella di Bozoum, originariamente fondata dai cappuccini, seguita da quella di Baoro, che festeggia il cinquantenario quest’anno, dove oltre alla parrocchia ci sono una scuola per catechisti e un centro di formazione professionale per meccanici. A Bouar e nelle vicinanze ci sono il seminario minore e il noviziato, mentre a Bangui la scuola di agricoltura. Ovunque, oltre alle attività pastorali, i carmelitani portano avanti un grande lavoro in campo educativo.