Al Teatro Pime di Milano il 21 aprile, Filippo Tampieri porta in scena gli straordinari incontri di padre Luigi Pinos, per più di 50 anni missionario in Bangladesh
“Cucire storie, tessere relazioni” è il titolo della Campagna annuale del Centro Pime, dedicata al Bangladesh. Ma forse è anche la frase che riassume meglio la storia di padre Luigi Pinos, che a questo grande Paese dell’Asia e alla sua gente ha dedicato 52 anni di vita, fino alla morte nel 2001. La sua figura rivivrà al Teatro Pime di Milano (via Mosè Bianchi 94) domenica 21 aprile alle 17 grazie a “Il mercato delle stelle”, uno spettacolo scritto e interpretato da Filippo Tampieri che propone la lettura scenica di alcune delle lettere più belle del missionario, tratte dall’omonimo libro da lui pubblicato nel 2000 per l’editrice Emi.
«La cosa che mi ha colpito di più di padre Pinos – racconta Tampieri, in scena con altri due attori e l’accompagnamento della violinista Cristiana Franco – è la capacità di incontrare e raccontare le persone. Si vede come vivesse per loro, senza mai mettersi al centro». Dallo spettacolo proponiamo una pagina, in cui padre Pinos racconta la storia amara della giovane Dipali.
Un giorno ricevetti una lettera d’amore. Non fraintendete. La lettera era per me, l’amore però era per un’altra persona. Era Dipali (“Luminosa”) che scriveva per dirmi che voleva sposare un ragazzo di casta diversa. Qui è inaudito che una ragazza parli del proprio matrimonio: peggio poi questa idea di sposarsi fuori della propria casta.
Lei aveva 15 o 16 anni ed era la maggiore di dieci bambini, figlia di un bengalese capace e benestante (la loro era una delle rarissime case in muratura in tutta la zona). Il ragazzo che Dipali voleva sposare si chiamava Tommaso, era giovane ed era istruito, aveva anche del terreno, ma abitava molto lontano e, soprattutto, era un aborigeno santal.
Com’era dunque potuto succedere che una ragazza benestante bengalese si mettesse in testa di sposare un aborigeno santal? Ecco: Dipali studiava nel convitto ginnasiale della missione di Bonpara. Un giorno un bel giovanotto venne a far visita a una sua compagna e amica santal. Dopo che il ragazzo se ne fu ripartito, Dipali chiese all’amica chi fosse. «È mio fratello». «Oh, avevo sentito che non avevi nessuno al mondo». «Sì, eccetto lui, non ho nessuno». «E lui con chi sta?». «Da solo». «Ma chi gli fa la cucina?». «Nessuno». «Chi gli lava i panni e ha cura della casa?». «Nessuno». Non chiese più nulla e non disse più nulla. Dipali si ritirò in se stessa, con la mente piena dell’immagine di quel ragazzo, bello come Krishna e tutto circondato da solitudine.
Fu così che Dipali cominciò a mandarmi le sue lettere. Scriveva a me: direttamente a Tommaso non l’avrebbe mai fatto, lei era una ragazza d’Asia, solo la parola dei suoi genitori avrebbe potuto legittimare il suo amore. Ella sperava solamente che io prendessi le sue parti e l’aiutassi e si struggeva dal desiderio che la chiamassi per potermene parlare.
Un giorno, vistala, la chiamai. Venne correndo. Le chiesi: «Hai mai parlato con Tommaso?». «No». «Ti ha mai vista tra le altre?». «Non credo». «Ma allora lui neppure sa che tu esisti. E se il matrimonio avvenisse, tu non sei certa che poi lui ti ami». Dipali rispose: «Non chiedo che lui mi ami, chiedo di sposarlo soltanto perché non sia solo e perché abbia qualcuno che si prenda cura di lui». «Povera la mia Dipali, dissi, come sarei felice di vederti sposata con Tommaso, ma tu sai, la gente…». Alzò i suoi bellissimi occhi, la sua anima brillava nelle pupille. Disse: «È per questo, padre, che te lo dico. Parla tu con mio papà e con gli zii…». Nel pronunciare questi nomi la voce le tremò e chinò il capo. Dissi: «lo sono dalla tua parte, Dipali. Parlerò, ma ci vorrà un grande miracolo…». Purtroppo il miracolo non ci fu.
Pochi giorni dopo, incontrato il papà di Dipali, gliene parlai. Come prevedevo, si rabbuiò subito in viso, per cui gli dissi di non preoccuparsi, che Dipali aveva tanto buon senso e che c’era tempo di pensarci. Ma egli non aveva nessuna intenzione di attendere e, due giorni dopo, venne a prendersi la figlia per portarla a casa e metterla sotto processo davanti ai maggiorenni del parentado. Cercarono di intimorirla col fare la voce grossa; lei si difese col silenzio.
Tornata al convitto, passò del tempo, ma il primo trimestre portò una novità poco simpatica: Dipali, che era sempre stata la prima della classe, ebbe brutti risultati. Quando, al secondo quadrimestre, i risultati peggiorarono, il papà venne e se la portò definitivamente a casa: evidentemente la figlia doveva togliersi di testa certi grilli…
Passarono molti mesi e non seppi più nulla. Finalmente, un giorno, eccola: mi pareva diventata più piccola. «Dipali». «Padre, ho deciso di non sposare Tommaso». Rimasi senza parola: quel bel fiore d’amore perdeva il suo ultimo petalo, davanti a me non vedevo altro che la corolla spoglia. La ragazza si diresse di nuovo verso casa, a passi piccoli e frettolosi. Mi sentivo sconfitto e triste.