Nonostante la durezza della censura e della repressione, Mosca sta riscoprendo il coraggio di una generazione che si dissocia dalla guerra di Putin
Nei lugubri giorni dell’assalto a Kiev, uno degli aspetti della Russia di Putin su cui maggiormente ci si interroga è quanto sia realmente forte l’opposizione interna rispetto alle scelte del suo leader.
Il dissenso è sempre stato una caratteristica della società russa, almeno nelle fasi dei suoi grandi cambiamenti. La Russia moderna ha vissuto le contestazioni religiose dei “vecchio-credenti”, che a metà del Seicento non vollero accettare le riforme liturgiche imposte dal patriarca Nikon e dallo zar Alekse. In quegli stessi tempi si radunarono le compagnie dei cosacchi, uomini liberi di etnia mista che non volevano sottomettersi alla schiavitù della gleba. E furono proprio i cosacchi a “inventare” l’Ucraina – termine forgiato per indicare i loro territori “dei margini”-, che fu consegnata alla Russia degli zar per sfuggire al potere dei re polacchi, dando origine al conflitto che oggi si rinnova proprio a partire da quei territori del “Basso Don” (Donbass) in cui essi stabilivano i loro accampamenti principali.
Queste e altre ispirazioni vennero poi rielaborate dai grandi scrittori russi dell’Ottocento, che sapevano coinvolgere la società nelle dispute tra slavofili e occidentalisti per rispondere a una sola grande domanda: qual è il destino della Russia, e come questo può cambiare il mondo intero?
Il campione degli slavofili, Fedor Dostoevskij, rispose che «la bellezza salverà il mondo», mentre invocava una grande guerra salvifica che portasse la Russia a conquistare l’Europa, Costantinopoli e Gerusalemme per affermare la verità della fede cristiana. Il suo principale antagonista, l’occidentalista Lev Tolstoj, partecipò alla rovinosa guerra di Crimea per scoprire che nessun sogno di grandezza può giustificare l’odio e la distruzione: visione pacifista esposta nel romanzo “Guerra e pace”.
Non mancano quindi ai russi i profeti del dissenso in tutte le epoche, e ci si aspetta che la loro ispirazione possa scuotere la popolazione dal lungo letargo putiniano, soprattutto di fronte a eventi drammatici ed epocali come quelli in corso. Il consenso del “nuovo zar” si è basato finora soprattutto sulla gratitudine per la stabilità ritrovata dopo le crisi degli anni Ottanta e Novanta, con la disgregazione dell’impero sovietico e il disorientamento dell’era della globalizzazione, quando i russi temevano di avere ormai perduto la loro identità.
È venuta poi l’epoca della grande riscossa, con una politica sempre più aggressiva nei confronti dei Paesi ex sovietici più a rischio di “contaminazione occidentale” come la Georgia, la Bielorussia, la Moldavia e l’Ucraina. Il consenso è allora arrivato ai massimi livelli, quando al grido “la Crimea è nostra!” Putin sembrava essere davvero in grado di realizzare il grande sogno, riportare la Russia al ruolo di potenza egemone come dopo le vittorie su Napoleone e su Hitler. Poi è cominciato il declino, quando le crisi finanziarie che rimbalzavano per il mondo intero hanno cominciato a mettere in difficoltà il sistema sociale ed economico, a far venir meno le garanzie di stabilità e sicurezza che rendevano Putin un autentico “padre della patria”. Ed ecco che sembrava risvegliarsi il dissenso: dal 2012, con il ritorno di Putin alla presidenza, sono cominciate le grandi manifestazioni di piazza contro la corruzione del regime degli oligarchi, le limitazioni alla libertà di stampa e di espressione e perfino il moralismo integralista della Chiesa ortodossa. La reazione è stata inizialmente tollerante, per divenire sempre più sistematica e asfissiante, fino appunto al divieto totale di pensarla diversamente dalla “versione ufficiale” come ai tempi di Stalin, e alla cancellazione della memoria collettiva.
Oggi gli agitatori delle proteste languono in prigione, come Aleksej Naval’nyj, o sono in esilio, come Mikhail Khodorkovskij. Ogni forma di collaborazione con l’estero porta all’iscrizione nel registro infamante degli “agenti stranieri” che rischiano la condanna per estremismo e per tradimento della patria. Adesso che è venuta anche la guerra fratricida, l’istinto porta molti russi a sostenere l’esercito e i comandanti, quasi un riflesso dell’inconscio per dimostrare al mondo che cos’è la Russia. Le giovani generazioni però, non cadono così facilmente nei tranelli della coscienza inebriata, essendo poco ricettive delle grandi ideologie, tanto che il patriarca Kirill vorrebbe far chiudere internet e tutti gli annessi per evitare ai ragazzi ogni distrazione. Anche gli adulti, del resto, cominciano a fare i conti con gli effetti delle sanzioni occidentali, e comprendono che la Russia sta perdendo il suo benessere e il suo futuro. Un nuovo dissenso è alle porte, e pur con tutta la forza della censura e della repressione sta nuovamente emergendo “da sotto i massi”, secondo la famosa espressione di Aleksandr Solženitsyn.
Nelle città russe si succedono le manifestazioni contro la guerra e i poliziotti non sanno più dove rinchiudere i dimostranti, arrestati già a migliaia. I ragazzi si muovono insieme o da soli, nei “picchetti individuali” con un cartello in mano, affiggono disegni e scrivono slogan sui muri, illustrano le loro ragioni con adesivi e colori, fumetti e storie personali, invadono di post i social media tanto odiati dal regime. La Russia vuole imporre al mondo il suo pensiero, ma potrebbe scoprire di non averlo saputo ancora imporre neppure al proprio popolo. MM
ANCHE IL PIME PER L’UCRAINA
Di fronte alla tragedia in atto in Ucraina, anche il Pime si è mobilitato: presso il nostro Centro a Milano abbiamo organizzato un punto di raccolta per alcuni materiali di cui c’è urgente bisogno, che vengono inviati, attraverso il Consolato ucraino, nei luoghi di prima accoglienza.