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Icona decorativaIcona decorativa31 Maggio 2017 Franco Cagnasso

Riforma

Mario, fedele visitatore delle “Schegge”, dopo aver letto “Interpretazioni” del 22 aprile scorso, mi segnala gentilmente un articolo pubblicato tre giorni dopo da Asianews con il titolo: “Le radici dell’islamismo violento sono nell’islam, parola di un musulmano”, a firma di Kamel Abderrahman. Tratta del rapporto fra islam e islamismo – inteso come la parte fondamentalista, radicale, intollerante e violenta che sta emergendo in tante aree del mondo musulmano e si chiede: è vero, come sostiene la maggioranza dei musulmani, che l’islamismo non è l’islam autentico? Asianews ha toccato l’argomento varie volte, con interventi di studiosi fra i quali mi pare ci sia una certa convergenza. L’A. sostiene con grande passione la tesi, che senza una riforma profonda e radicale, l’islam si stia condannando ad essere ostaggio in balia dell’islamismo radicale violento. Secondo lui, le radici dell’islamismo si trovano nella tradizione islamica “riscoperta” e rimessa in circolazione in modo acritico. L’islam, nei secoli, ha prodotto una massa enorme di interpretazioni giuridiche del Corano e della Sharia, spesso rigide, legaliste, che danno ampio spazio all’uso della coercizione e della violenza per “difendere”, diffondere, far rispettare l’islam e opporsi agli “infedeli”. Esse vengono tuttora insegnate in migliaia di scuole coraniche, inclusa la prestigiosa università Al Azhar del Cairo. Non è possibile tenere per buoni questi insegnamenti e allo stesso tempo opporsi efficacemente al fondamentalismo violento. L’islamismo non inventa e non vuole inventare nulla di nuovo, vuole soltanto mettere in pratica tutto ciò che è stato insegnato ma non praticato, perché crede che il “ritorno” a quegli insegnamenti sia la via per vivere un islam autentico e risolvere i problemi del mondo. Se l’islam di oggi – sostiene l’Autore – non prende coraggio per analizzare queste radici, sottoporle a verifica critica e razionale, distinguere e tenere ciò che è buono e liberarsi di ciò che non lo è, sarà sempre più chiuso, intollerante, violento. Caro Mario, tu vuoi sapere che cosa penso di questa valutazione, ma devo deluderti: non sono in grado di vagliarla con competenza. Non ho mai studiato gli autori antichi di cui l’articolo parla, e non so quali sono i riferimenti fondamentali degli insegnamenti di Al Azhar… Posso solo condividere ciò che percepisco e “fiuto”, vivendo in una metropoli di un Paese a larga maggioranza musulmano, e di tradizione tollerante. Ne ho parlato altre volte nelle “Schegge”: sta crescendo, gradualmente, una mentalità più attenta alle regole e alle espressioni anche esterne, sociali, della religione (ad esempio, abiti delle donne, ma anche degli uomini, desiderio di leggi che indirizzino i fedeli e “proteggano” l’islam…). Si ha la sensazione che l’insegnamento nelle scuole coraniche sia, rispetto al passato, più ripiegato su se stesso, intransigente, e che trovi un’eco sorprendentemente ampia. Ci sono resistenze e reazioni a questa mentalità? Sì, molte e ben articolate; ma quanto incidono? Tempo fa, mi avvicinò per strada un distinto signore presentandosi come Preside di una università, la cui sede era lì accanto. Mi invitò per un tè e quattro chiacchiere e, quando queste furono interrotte dal lacerante “urlo” di richiamo alla preghiera diffuso dagli altoparlanti della vicina moschea, sorrise sospirando: “Li sente? Tutto il mondo cambia, ma loro no. Com’è possibile che leggi emanate oltre mille anni fa per un popolo tribale che viveva nel deserto, siano da applicare pari pari nel mondo moderno di un popolo completamente diverso? A lei queste cose le posso dire; ma chi le dice a “questi signori” – aggiunse guardando verso la vicina moschea – che non le vogliono sentire?” E’ di questi giorni l’approvazione di una legge, in Pakistan, che commina carcere e multa a chi viene visto mangiare o bere durante il mese di digiuno del Ramadan. E’ di questi giorni la condanna a due anni di carcere dell’ex governatore di Jakarta per aver offeso l’islam: aveva criticato certe interpretazioni che alcuni ne danno. In Bangladesh il movimento islamista continua ad alzare le sue pretese e il governo (ufficialmente secolare) cerca di accontentarli. La legge che proibiva il matrimonio prima dei 18 anni è stata rivista per ammettere casi in cui, “per il bene dei giovani”, il matrimonio può essere contratto anche a quindici anni. Il bene dei giovani consiste nel fatto che, se hanno avuto rapporti sessuali, si devono assolutamente sposare, anche se in realtà s’è trattato di uno stupro. Così, chi violenta una ragazzina ha diritto di sposarla “per il suo bene”… Questo movimento minaccia gli impresari perché non assumano donne, vuole che si proibisca ogni conversione, che ogni negozio e ufficio gestito da non musulmani, metta a disposizione il Corano e il tempo per la preghiera… Chi dice che l’islamismo “non è il vero islam” è sincero, perché nella sua esperienza queste chiusure e violenze non ci sono; ma – sostiene l’A. – in realtà chiusure e violenze sono fondate su norme ampiamente diffuse, e che portano a queste conclusioni, se non vengono sottoposte a una radicale revisione critica. Revisione temutissima e osteggiata perché, secondo alcuni, sarebbe di per sé offesa alla sacralità del Corano; ma anche perché il fondamentalismo ha il terrore della modernità e della critica, convinto che essi vogliano “svuotare dall’interno” l’islam e la sua cultura, come l’occidente ha fatto – secondo loro – con il cristianesimo.. Anche nella vasta galassia del mondo cristiano ci sono interpretazioni molto diverse, e ci sono state guerre fratricide; ci sono stati movimenti radicalizzatisi attorno a uno o più aspetti della Bibbia, che – interpretati alla lettera, fuori contesto, e senza spirito critico – hanno alimentato fanatismi, eresie, conflitti. Oggi il fenomeno nel mondo islamico ha dimensioni gigantesche, diffuse dalle Filippine alla Nigeria, dal Kossovo alla Somalia. La Primo ministro del Bangladesh, Sheikh Hasina, ha sentito il bisogno, recentemente, di sottolineare che i musulmani devono smettere di massacrarsi fra loro, imparare a rispettarsi e a risolvere le difficoltà attraverso il dialogo. Non sono solo i musulmani ad avere bisogno di questo, ma certo anche loro! Ho scritto, qualche tempo fa, che è in atto un “braccio di ferro” interno al mondo islamico, fra modernità da una parte, e ritorno al passato dall’altra. L’A. sa bene che molti musulmani vogliono reagire. Il punto debole della reazione è – sostiene – che non si prendono le distanze dalle fonti che sono all’origine di interpretazioni letteraliste. Mi permetto di aggiungere che nel mondo islamico un lavoro del genere è già stato avviato da studiosi che rischiano in proprio, e sono – a dir poco – emarginati; altri senza dubbio si aggiungeranno per un’opera “ciclopica”, certamente molto lunga e dolorosa, che ripercorrerà forse, a grandi linee, i travagli del mondo cristiano a partire dall’epoca così detta “dei lumi”. Cammini come questi non sono mai conclusi: sono i cammini spesso convulsi e confusi della storia.

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