250 camerunesi rimpatriati
Da qualche giorno mi trovo in Camerun per dare un corso di Storia delle missioni ai nostri seminaristi di Yaoundé. I giornali in questi giorni hanno molto scritto sulla schiavitù nella Libia e sulla situazione dei 1700 camerunesi, ivi imprigionati. Leggo nel giornale Le Messager di mercoledì, 23 novembre, un articolo di Blaise Pascal Dassié.
Uomini, donne e bambini che erano fuggiti da situazioni difficili, dalle bande di trafficanti e da gruppi islamisti, sono stati rimandati in Camerun con un aereo speciale organizzato dal governo algerino e dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). Secondo la Crtv, un canale televisivo del Camerun, i migranti bloccati in Algeria sono ritornati volontariamente. In Camerun sono assistiti sotto l’aspetto medico-sociale e riceveranno dallo stato una somma di 65.000 Fcfa per il ritorno in famiglia.
Dalla guerra in Libia del 2011, il Sahara è diventato un territorio di passaggio. Il deserto è il luogo ideale per il traffico di droga, di sigarette, di armi e di carburante. È pure la strada dell’immigrazione illegale. Nonostante la mancanza di sicurezza, molti ripassano per la Libia. Agadez resta il punto più centrale di partenza.
Si calcola che in Algeria i migranti, venuti da differenti paesi, sarebbero oggi 100 mila, vivendo di piccoli lavori nella clandestinità, rassegnati ormai a lasciare il sogno dell’eldorado europeo. Ma alcuni sperano ancora di raggiungere l’Europa, superando i rischi e i pericoli, attraversando il Mediterraneo verso la Spagna. Oppure, nonostante tutto, riprendere la strada della Libia.
Arrivo a Yaoundé
Due notizie si sono succedute a distanza di poche ore nei giornali del Cameroun. La prima, data dal giornalista Pascal Dassiè, che ho riportato e che annuncia la partenza dei migranti camerunesi dall’Algeria, la seconda che trascrivo ora e che racconta l’arrivo di un aereo dalla Libia e poi le testimonianze dei rimpatriati.
Una quarantina di medici, infermieri e psicologi erano pronti all’accoglienza. I migranti sono passati a ricevere il vaccino contro la febbre gialla, dovettero sottomettersi ad esami e a inchieste e a riempire schede di identità personale. Non tutti accettarono di essere fotografati. Questa operazione è voluta dal governo del Camerun col sostegno delle Organizzazioni Internazionali, soprattutto dell’OIM, per i Migranti, dopo la scoperta dei campi di concentramento della Libia. Il progetto di due anni vuole ricondurre a casa 1700 camerunesi.
Testimonianze dei rientrati
Ndong : A nessun mio nemico auguro quanto ho sofferto. Avevo tutto investito per raggiungere l’Europa. Fui separato da mia moglie e non so se è viva. Avevamo guadagnato insieme tre milioni di CFA (un euro : 600 cfa). Non ho più niente. Vorrei dire a tutti di partire per un altro paese solo dopo un visto e non passare per la Libia o il Marocco.
Adeline : Un popolo, quello libico, che pretende di essere civile, ma odia gli africani. Non c’è niente di buono in Libia. Non volevo restare in Libia, ma passare solamente per arrivare in Europa. Sono contenta di essere ritornata in Camerun.
Salomé : Partita da Douala con mia cugina, arrivai in Algeria dopo aver speso 300 mila CFA, pagando controlli e tasse lungo la strada. In Algeria vivevo di un piccolo commercio. Passata in Libia trovai l’inferno. In prigione si mangiava male. Nessuno sa che sono ritornata. Avevo lasciato un figlio di nove anni e la mia famiglia non mi può aiutare. Vorrei completare i miei studi.
Frank : Raggiunsi l’Algeria con un piccolo progetto di commercio. Per strada in Niger fummo dichiarati ostaggi e dovetti chiedere a mia madre di versare 300 000 F in una banca per la mia liberazione. Son finito in prigione in Libia e trattato come una bestia, battuto notte e giorno. Ritorno e non so dove andare.
Avventura da sconsigliare
La giornalista Yvette Mbassi Bikele scrive: «Marcati con le stimmate di una avventura ambigua… i salvati dalla tratta dei Neri in Libia, assicurano che non vi ritorneranno. Si credevano ospitati come avviene in questo caro e bel paese del Camerun, ora pensano a quelli che son rimasti e consigliano ad altri di non tentare una simile avventura. Purtroppo, nonostante i drammi, il mercato di schiavi, e le migliaia di morti nel deserto e nel mare che non cessano di alimentare le informazioni internazionali, niente sembra fermare l’immigrazione verso le coste europee, che continua ad arricchire i trafficanti. È vero che si può criticare il sistema di governo di alcuni paesi africani, ma come può oggi un giovane indebitare e impoverire la sua famiglia col sogno dell’arrivo in un paese più ricco? Una realtà curiosa : mentre alcuni figli e figlie del paese cercano l’erba migliore del vicino, alcuni stranieri trovano nel nostro un’ospitalità leggendaria e si arricchiscono di pesca, agricoltura, abbigliamento e altri mestieri e non sognano affatto di ripartire. Forse è vero quello che diceva Voltaire : “Ognuno dovrebbe interessarsi a coltivare bene il proprio giardino e ne ricaverà un benessere e un futuro migliore, invece di restare ad attendere e ricevere tutto dagli altri”».
Un commercio ben organizzato
Parecchi migranti camerunesi, di ritorno in Camerun, confermano che la schiavitù è un ricco commercio in Libia. Considerato come un commercio risalente a un epoca lontana, oggi nel paese di Muammar Gheddafi è una attività ben organizzata e sviluppata. Alcuni giovani migranti in transito verso l’Europa o fissatisi in Libia, sono ora la preda privilegiata di gruppi e di associazioni. Vulnerabili per la loro debole situazione e il loro statuto, queste persone sono una facile preda. In questo mercato di schiavi, la pelle nera è preferita perché più resistente alle crisi e alle intemperie. Per questo i subsahariani sono i più numerosi. La maggior parte delle persone rapite sono generalmente messe in prigione dai loro rapitori. Secondo le dichiarazioni degli ex migranti, le vittime sono oggetto di violenze e di umiliazioni di ogni genere. Molti vi perdono la vita quando non ne escono coperti di segni di sevizie corporali. Secondo loro il mercato di schiavi in Libia non ha prezzo standard. Come in un mercato di bestiame, i prezzi sono fissati secondo l’età, l’apparenza e il sesso della persona venduta. Può essere di 120, 200 o 300 mila CFA, se la persona comprata è destinata ai lavori domestici, o agricoli, o di infrastrutture secondo il progetto dell’acquirente. Gli uomini robusti e i giovani sono comprati per i lavori d’Ercole perché più resistenti, secondo le testimonianze degli ex-ostaggi. Le donne generalmente sono destinate ai lavori domestici quando non sono semplicemente messe a servizio dei prosseneti. Una madre con figli costa più cara di una donna senza figli. I migranti più ricalcitranti sono uccisi o gettati nel deserto. (Sainclair Mezinc, Cameroun tribune, 24 novembre 2017)
Non c’è Eldorado fuori dell’Africa
Il professore in scienze politiche Jean Emmanuel Pondi interrogato da Sainclair Mezing afferma: «L’ossessione della partenza è un errore fatale degli africani. L’Africa possiede ricchezze non ancora esplorate. E’ necessario riorganizzarci e credere di più in noi stessi. Nostra enorme deficienza è non avere fiducia in noi e non voler organizzarci. La maggior parte degli africani è estroversa. Pensano che il benessere venga dal di fuori dell’Africa. Illusione fatale e suicida. Nessun continente si è sviluppato contando sugli altri o contando sull’aiuto internazionale. Sono d’accordo sulla cooperazione internazionale ma deve avvenire coi nostri sforzi. Noi dobbiamo essere al centro del nostro processo di cambiamento e progresso. Restiamo noi il motore dello sviluppo. Non è l’immigrazione che ci svilupperà. Non c’è un continente come l’Africa dove esiste la maggior parte delle ricchezze del mondo. I giovani africani lasciano questa terra e le sue ricchezze per rendersi a rischio e pericolo là dove sono trasformati. Dobbiamo rivedere e riprecisare la nostra cooperazione internazionale per il nostro avvenire. In Libia c’è la negazione dell‘Humanité africaine».
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