Abbondanza della gioia
Il 17 maggio 2023, Papa Francesco parlando di San Francesco Saverio ha detto: «Quali siano i suoi sentimenti lo capiamo dalle sue lettere: “I pericoli e le sofferenze, accolti volontariamente e unicamente per amore e servizio di Dio nostro Signore, sono tesori ricchi di grandi consolazioni spirituali. Qui in pochi anni si potrebbero perdere gli occhi per le troppe lacrime di gioia!”» (20 gennaio 1548). Anche Il Concilio Vaticano Il parlando della spiritualità del missionario, non tralascia un ingrediente tutt’altro che secondario, rappresentato dalla gioia. Dice infatti che «attraverso la virtù e la fortezza chieste a Dio, il missionario potrà conoscere come sia proprio nella lunga prova della tribolazione e della povertà profonda che risiede l’abbondanza della gioia». (Ad Gentes n.125)
Pare che in questo, i precursori del Concilio siano stati i nostri primi missionari, che agli albori dell’Istituto coniarono una frase divenuta celebre: «Qui si studia, si prega, si ride”.”
Non che si ridesse soltanto, ma insieme allo studio e alla preghiera, l’allegria era davvero un piatto essenziale della vita di comunità. Il Beato Giovanni Mazzucconi, nostro primo martire, lo sottolineò in una delle sue puntigliose annotazioni: «In casa non vi era la fame, ma il piatto principale era l’allegria e la contentezza, la quale in realtà è il dono più grande e più ricco che il Signore possa fare agli uomini sulla terra».
Il dono più grande di Dio, che riassume tutti gli altri, è quello della gioia, non solo gioia umana ma quella di Gesù: «La mia gioia è in voi e gioia piena» (Gv 12,44-50). Il missionario vero, questa gioia l’ha sempre avuta, perfino da donare, trasmettere.
Ricordiamo alcuni missionari del Pime
Padre Frascognia. Così scriveva dall’India: «Sono sempre contento, e più vado avanti più lo sono. Sento che il Cuor di Gesù mi vuol bene; non solo, ma alle volte m’inonda con le sue tenerezze. Potrei narrarti una lunga fila di fatti per dimostrarti come Gesù mi è sempre vicino e mi colma di continui favori». L’ideale missionario è quindi una continua rivelazione del Signore Gesù alla mente e al cuore e che diventa il tutto della vita.
Padre Pietro Manghisi, ucciso in Birmania nel 1953: «Nella sua residenza c’era sempre vita e allegria: essa rigurgitava di ragazzetti orfani, o abbandonati o indesiderati dai genitori. Li aveva raccolti, li allevava, li assisteva maternamente, li educava e istruiva. Sarebbero riusciti maestri o catechisti o comunque avrebbero imparato un mestiere e formato la loro famiglia cristiana».
Egli ce li presenta: «Se sono paffutelli e allegri,godo della loro felicità. Ma se li vedo intirizziti dal freddo o stesi sulla stuoia consumati dalla malaria, allora anch’io sto male!».
Beato Clemente Vismara. «Tutto è bello nella vita del missionario, se c’è la fede e l’amore di Dio. Io ne ho passate tante, ma posso dire di non essere mai stato triste».
Padre Antonio Farronato, fratello di padre Eliodoro ucciso in Birmania nel 1955: «Qui a Monglin io vivo senza casa, mi alzo senza sveglia, prego senza chiesa, vado a caccia senza licenza, sto allegro senza teatro, studio lingue senza fine, non ho giorno senza fastidi, invecchio senza accorgermi, e di certo morrò senza rimorsi, “ché cuor contento il Ciel l’aiuta!”. E voi? e voi? Voi non mai, se non verrete presto a farmi compagnia!».
Padre Cesare Mencattini, martire in Cina nell’anno 1941: «Io sono felice di fare il prete zingaro, senza chiesa, senza canonica, senza beneficio, ma… ricco di anime, cariche di stracci, ma rigenerate alla grazia! I miei cristiani sono poveri… ma veramente buoni! Come mi stanno attenti quando parlo loro della bontà di Dio e della vita eterna».
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