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Algeria: 50 anni di indipendenza

Mons. Paul Desfarges, vescovo di Costantine, descrive in una lettera il percorso della Chiesa in Algeria durante la guerra di liberazione, le parole coraggiose dell’allora arcivescovo di Algeri, il cardinale Etienne Duval, contro la tortura, la vicinanza fraterna e rischiosa dei cristiani al fianco degli algerini nella loro lotta per l’indipendenza che ha rafforzato i legami di sempre della Chiesa con il suo popolo. «La Chiesa nel momento dell’indipendenza ha detto ancora “sì” alla sua vocazione di essere Chiesa per tutto il suo popolo d’Algeria». Mentre l’Algeria scivolava, anni dopo, nella violenza integralista e profondava nella guerra civile, mons. Henri Teissier, arcivescovo di Algeri, nonostante le minacce e i rischi, si rifiutava di lasciare il Paese, nell’ora più sanguinosa. Solidale al popolo algerino, della cui amicizia e sincerità non aveva mai dubitato, ribadiva la sua convinzione che in Algeria, nella tragedia quotidiana, il sangue dei cristiani (19 religiosi e alcuni laici) e dei musulmani algerini (circa 150.000)  era lo stesso: lo provarono il martirio comune e il destino condiviso da Mons. Claverie e il suo autista Mohamed, uccisi il primo agosto 1996. Mons. Teissier dichiarava senza ambiguità la sua compassione per i civili algerini e faceva eco al card. Duval dicendo: «Quella d’Algeria è una Chiesa di incontro, testimone nascosto della presenza di Dio». «Una parte di voi ci appartiene»

Un’amica algerina musulmana ha scritto alla comunità cristiana la seguente lettera: «Avete scelto di vivere con questo popolo, di condividere le sue gioie e le sue pene. Avete scelto… o è Dio che ha scelto per voi? L’importante è che voi siate qui, e che rimaniate sempre qui. Ma la vostra presenza non si limita solo alla relazione creata dal vostro insegnamento e dal vostro aiuto. La vostra presenza ha superato tutto ciò. È più profonda. La vostra presenza in questa terra e in mezzo a questo popolo ha superato tutto questo poiché una parte di voi ci appartiene. Non si può esistere da nessuna parte senza appartenere in qualche modo all’altro. Molti algerini musulmani condividono con me quest’idea e queste sensazioni. Non siete qui per un conflitto religioso o politico – benché molti lo credano – e non voglio arrestarmi a questa considerazione. Se volete andare al fondo della vostra nobile missione, dovete vivere qui con noi pienamente. Pierre Claverie ha scritto: “Chiamati a vivere in Algeria, dobbiamo considerarci come donati al popolo algerino”».

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