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Icona decorativaIcona decorativa5 Ottobre 2019 Franco Cagnasso

Bro. Jacques

Nato nel 1940 nella Svizzera francese, aveva appena terminato la preparazione come Pastore nella sua Chiesa, quando si sentì chiamato ad entrare nella Comunità Ecumenica di Taizè, diventando “Frere Jacques”. Con alcuni Fratelli e con alcuni Francescani, trascorse qualche tempo negli Stati Uniti; poi – non potendo ottenere il visto per lavorare in India accanto a Madre Teresa – fu orientato, assieme ad altri, al Bangladesh. Vi rimase più di 40 anni. Il suo “carisma” era l’insegnamento, che continuò fino a pochi mesi dalla morte, accaduta il 30 luglio scorso in un ospedale vicino a Taizè. La sua comunità era a Mymensingh, e lui la tenne sempre, fedelmente, come punto di riferimento, partecipando ai momenti spirituali, formativi, di programmazione, e in amicizia con gli altri Fratelli. Ma risiedeva a Dhaka, nel Seminario Nazionale Cattolico di Filosofia e Teologia, dove ho vissuto con lui per nove anni. Poche parole, gran lavoratore, lettore accanito, di molti libri ammucchiati in seminario aveva fatto l’unica biblioteca, su temi filosofici e teologici, degna di questo nome in Bangladesh. Aveva insegnato… quasi tutto. Svariati corsi sulla Bibbia, la sua materia, al seminario cattolico e a quello anglicano, e poi greco ed ebraico, metodologia, ecumenismo, escatologia, storia… quando c’era una lacuna da colmare, ricorrevano a lui, che si preparava coscienziosamente, e insegnava puntigliosamente senza perdere una lezione. Dopo la brutta caduta che lo costrinse a ritornare in Francia, con il femore rotto aveva voluto terminare i corsi avviati, esaminando gli alunni mentre era a letto, debole e dolorante. Lo invitavano spesso per conferenze, incontri, corsi presso istituzioni diverse, e comunità cristiane di varie denominazioni: anglicani, battisti, chiese di Dio, cattolici, “mennoniti”… Era a suo agio con tutti. Una curiosità: ogni settimana teneva due ore di ebraico a un gruppetto di intellettuali convertiti al cristianesimo. Parlava pochissimo di sè, e scoprii quasi per caso che la sua denominazione di origine era la Chiesa Riformata Svizzera. I seminaristi, oltre ad appoggiarsi molto a lui per gli studi, su qualsiasi tema, si confidavano e sfogavano volentieri con lui, che ascoltava, commentava spesso con ironia, incoraggiava con fare burbero. Aiutava anche economicamente non pochi giovani a frequentare l’università. Non era mai stato a Roma; diceva che non gli interessava andarci. Combinammo uno scambio di inviti: lui mi accolse Taizè, io accolsi lui a Roma, e ne fummo contenti entrambi. Aveva un cruccio, che potei scoprire grazie alla confidenza che lentamente crebbe fra noi: si sentiva accolto ovunque, nelle comunità cristiane, ma pochi, pochissimi elaboravano con lui le domande che la sua presenza “ecumenica” creava. “Brother Jacques vive e prega con i cattolici, partecipa alla eucaristia anglicana, frequenta i battisti…” come mai? Perchè? che significa? È giusto? Se lo chiedevano, magari ne parlavano fra loro, ma non ne parlavano con lui, quasi avessero paura di offenderlo, o di entrare in un’area proibita. Era un “caso anomalo” da non toccare, guardato con curiosità, anche ammirazione, ma pure con sospetto e timore. Penso sia la situazione anche degli altri Fratelli di Taizè in Bangladesh, le cui iniziative di preghiera e riflessione raccolgono cristiani di diverse denominazioni, e giovani di diverse religioni, e sono bene accolte da parecchi preti e pastori, ma sembrano non incidere su un atteggiamento di solito chiuso e sospettoso – quando non malevolo – nei rapporti fra cristiani di diverse denominazioni, e fra credenti di fedi diverse. Per me è stato una testimonianza viva di come accogliersi pur nelle differenze, di come dare valore prima di tutto alla nostra appartenenza battesimale a Cristo e alla sua Chiesa che è una, anche se frammentata dalle nostre incomprensioni teologiche, storiche, a volte da questioni di economia, potere, orgoglio. “Ti ringraziamo, Signore, per avergli dato questo dono” ha scritto Fratel Alois, attuale superiore della Comunità di Taizè. Franco Cagnasso

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