Charles de Foucauld (2)
Mentre studiavo teologia nel seminario del PIME, volli fare un mese di servizio con i “Compagnons batisseurs”, i “Soci Costruttori”, un gruppo o movimento di origine francese che organizzava giovani per dare una mano a costruire case per i poveri. Mi mandarono alla periferia di Lione, dove in pochi giorni mi ammalai. L’assistente spirituale, che si credeva psicologo, sentenziò che la febbre era dovuta alla mia tensione interiore perché non potevo seguire le regole del seminario, e perché mi trovavo in una comunità con ragazze. Si sbagliava. La tensione c’era, ma delle regole del seminario non m’importava nulla, e quanto alle ragazze, mi ci trovavo bene. Volevo capire: proprio accanto al cantiere dove cercando di aiutare i muratori dando loro parecchio fastidio, c’era una comunità di “Piccoli Fratelli di Gesù”. Mi accolsero dandomi un letto dove riposare e guarire alla svelta, come avvenne, e li osservai. Parlavano pochissimo. Tornati dal lavoro in fabbrica, pregavano, poi dalla microstanza in cui avevo il letto sentivo i rumori famigliari della preparazione della cena, dopo la quale pregavano ancora. Appena sfebbrato, pregai con loro una o due sere, fino a tardi: vivevano intensamente con gli uomini, e intensamente con Dio! Li stimai, fui loro grato, sentii che la semplicità della loro vita e del loro comportamento era attraente, ma non doveva essere solo per una congregazione, poteva influenzare, correggere, sostenere anche altri modelli di vita e di testimonianza.
Poi vennero altre esperienze, che direttamente non avevano a che fare con Charles de Foucauld, ma che vivevo in uno stesso contesto interiore di ricerca; desideravo un cristianesimo non ingessato in schemi ma desideroso di stare accanto a chiunque, per quanto diverso. Un mio compagno di classe, p. Leopoldo Pastori, aveva incontrato in Francia il movimento del “Prado”, preti che praticavano la meditazione del vangelo, cercando di coglierne insieme il significato per la vita di oggi. Chiedemmo al Rettore p. Carbone di lasciarci sperimentare questo metodo in seminario, e ci appoggiò. Il Vangelo non era solo da ascoltare commentato dalle prediche dei preti, o da analizzare a scuola, era da scrutare con amore, con semplicità, fiduciosi che avesse qualche cosa di bello da dire a tutti.
Cercai qualche cosa di bello anche a Taizé, il monastero ecumenico fondato da un pastore protestante, diventato popolare fra molti giovani in Europa. Anche là trovai un respiro di fede viva, che cercava l’essenzialità su strade non ancora battute. Nessuno dei monaci, originari da denominazioni cristiane diverse, rinnegava le proprie origini, eppure trovavano elementi comuni capaci di fondare la vita insieme, interamente donata, e un intenso lavoro di evangelizzazione specialmente nel mondo giovanile.
Nel travaglio di ricerca e iniziative che la chiesa in quegli anni stava vivendo, non mancava chi si appellava in modo superficiale, riduttivo e anche strumentale alla scelta missionaria di Charles De Foucauld. Quasi certamente ne parlava solo per sentito dire, facendone un presunto modello di rifiuto dell’annuncio cristiano, per valorizzare solo la testimonianza silenziosa, e “anonima”. Intuivo invece che il valore della vita di Charles de Foucauld non stava nel metodo, ma nella centralità di Gesù. Charles era stato profondamente radicato nella tradizione, ma capace di viverla con gesti e modi di vivere che parlavano anche a chi vedeva il cristianesimo come “un’altra religione”, o come un relitto del passato. Il cuore rosso che teneva cucito sul suo abito bianco con le parole “Jesus Caritas”, non era anonimo, e Charles era capace di rispettare pienamente i musulmani vivendo con loro in tutta la semplicità e chiarezza di un seguace di Gesù; voleva imitare Cristo a Nazaret, e la sua vita “parlava” dell’annientamento che il Verbo ha vissuto per essere totalmente con noi, e per rivelarci il Padre.
Da giovane prete, a Roma, andavo a pregare ogni tanto nella cappella delle Piccole Sorelle di Gesù alle Tre Fontane. Accanto al luogo del martirio di Paolo, e all’austera chiesa dei Trappisti, che vuole “proiettare” i fedeli verso l’alto, mi piaceva raccogliermi nella calda e avvolgente semplicità della struttura in legno e delle Piccole Sorelle che si alternavano nell’adorazione. Le suore mi presentarono ad un gruppetto eterogeneo di preti che s’ispirava a Charles de Foucauld per vivere il cammino di servizio alle loro diocesi. Ci trovavamo a meditare sul vangelo e sulla nostra vita, e fu un aiuto semplice e forte a cercare, nel ministero, anche la nostra umanità, a vivere la preghiera come ricerca e come dono ricevuto, prima che come un dovere; momento in cui esprimevo e accoglievo l’amore cui ho rinunciato con la mia scelta di celibe. (continua)
Articoli correlati
Mare Mosso
E’ trascorso un mese dal mio arrivo in Bangladesh. Sapevo che dallo scorso luglio la vita di questo grande paese con …
Dall’Iran all’Italia per arrivare alle Olimpiadi di Parigi
Nella squadra olimpica dei rifugiati, ci sono anche due giovani iraniani, Iman Mahdavi e Hadi Tiranvalipour, che in I…
Ritorno
Eccomi qui, di nuovo con una “scheggia” certamente inattesa: la precedente, numero 239, risale a più di un anno fa: n…