Cinquant’anni di… (1)
Come ricordare cinquant’anni di vita da prete missionario? Qualcuno non fa attenzione agli anniversari, qualcun altro organizza feste e festicciole qua e là rivisitando luoghi e persone dove è stato e con cui ha vissuto. Altri organizzano un pellegrinaggio… Tutti ricordano i “coscritti” che, ordinati preti insieme a loro, prima di loro sono partiti per l’ultimo viaggio, e quelli che, cammin facendo, hanno scelto altre strade.
Quest’anno Alberto, missionario in Guinea Bissau, Carlo, Gianantonio e Quirico, missionari in Bangladesh, per celebrare il loro giubileo di preti del PIME hanno scelto di trascorrere quattro giorni insieme, nella casa natale di Papa Giovanni XXIII a Sotto il Monte; e hanno chiesto a me – cinquantenne consolidato, che sta per arrivare al cinquantaquattresimo anno di ordinazione – di organizzare in queste giornate un poco di condivisione, e di preghiera.
Poiché i festeggiati sono “evangelizzatori” per vocazione, il punto di riferimento non poteva essere che il Vangelo, perciò ho proposto di “scorrazzare” insieme attorno ad alcune sue pagine: Giovanni capitoli 13-17 e poi i racconti sulla risurrezione.
Sì, proprio “scorrazzare”: non una lettura ordinata e sistematica, aiutati da un’accurata esegesi e con la preoccupazione di aderire rigorosamente al testo, ma una lettura “libera”, con riferimenti alla nostra vita, variazioni “fuori tema”, intuizioni… lasciando spazio alla memoria, e anche alla fantasia…
Ci siamo ritrovati all’Ultima Cena, quando Gesù lava i piedi ai suoi, lasciando un esempio perché lo facciano anche loro, l’uno all’altro, in sua memoria. Seguono le confidenze di Gesù, particolarmente intense e significative perché sono le ultime, prima della morte ormai vicinissima. Poi abbiamo dato uno sguardo alle pagine che, dopo la passione, descrivono lo spuntare della fede nella risurrezione, con i primi “deliranti” messaggi delle donne e poi le incertezze dei discepoli sconvolti.
Abbiamo identificato alcuni temi per chiederci come li abbiamo sentiti, capiti, vissuti nei nostri 254 anni di vita missionaria. Sì, duecento cinquanta quattro: cinquanta ciascuno i “giubilanti” e cinquantaquattro io. Abbiamo “sorvolato” con la memoria questo tempo che credevamo sarebbe stato molto lungo, e invece è trascorso senza che ce ne accorgessimo…
Ci siamo chiesti come abbiamo vissuto alcune delle cose che Gesù ha comunicato come testamento spirituale ai suoi discepoli. Era consapevole che il momento di “passare da questo mondo al Padre” era arrivato, e – guardando avanti – era affettuosamente preoccupato per loro. Era realisticamente convinto che entro pochissimo tempo il “tornado” dell’angoscia avrebbe attanagliato lui stesso, il Maestro, e la spaventosa valanga del suo arresto, della condanna a morte e dell’immediata, feroce esecuzione avrebbe disperso e distrutto ogni coraggio e ogni speranza del suo piccolo gruppo di discepoli. La loro fiducia nel Maestro era stata assoluta e lo era ancora – anche se venata da preoccupazioni oscure, dovute agli avvenimenti più recenti e alla sua ostinata volontà di andare a Gerusalemme con tutti i rischi che ciò comportava; la loro fiducia aveva sognato un regno ormai vicino, e magari una posizione di favore al fianco di questo “Rabbi” così straordinario. Ma nelle poche, tragiche ore finali ci fu per loro il crollo totale di ogni speranza, in lui e in se stessi (cfr. Lc 24, 19-35).
E poi… la scossa elettrica di una notizia incredibile. Il buon senso che suggeriva di non ascoltare qualche donnetta troppo addolorata per capire quello che diceva; dopo quanto era successo, nessuno se la sentiva di prendere sul serio l’inimmaginabile… come prestare attenzione al desiderio assurdo che potesse essere vera la risurrezione di tutto ciò che – sfasciato sull’agonia della croce – era finito nel sepolcro?
Abbiamo organizzato il nostro “scorrazzare” tra vangeli e vita cercando di porre le parole di Gesù accanto agli eventi che hanno originato e sostenuto la nostra fede e la nostra vocazione e tutto ciò che ne è seguito – appunto – nei nostri 50 anni di preti missionari.
Il primo passo è stato una condivisione “a ruota libera”, ovviamente molto sintetica, di ciò che abbiamo vissuto: dove, con quali incarichi, quali difficoltà e quali soddisfazioni principali.
Poi abbiamo scelto un pensiero che ci ha toccato, suscitando il desiderio di sentirlo indirizzare direttamente a noi: Gesù esprime la sua vicinanza ai discepoli, il suo amore e la sua cura, in vari modi e con varie espressioni; ci siamo soffermati su questa: “Vi ho chiamato amici” (Gv 15, 15).
L’amicizia è una realtà viva, che va alimentata, e che ha come caratteristiche la scelta e la condivisione fiduciosa. Gesù lo dice, sottolineando che è stato proprio lui a scegliere questi amici, e che a loro ha confidato il meglio di sé: la sua conoscenza e la sua intimità con il Padre. Non manda i suoi futuri missionari “fino ai confini del mondo” con un bagaglio di idee e teorie da diffondere, o con un progetto di “conquista” ma con una comunione di pensieri e sentimenti maturati insieme in quegli anni straordinari; pensieri e sentimenti che probabilmente i discepoli non avevano nemmeno immaginato, quando avevano accolto il suo invito a seguirlo. Gesù non era un legislatore, un politico, un organizzatore, ma un animatore; ha animato i suoi partecipando al loro desiderio di incontrare il Regno di Dio, e facendoli partecipi del suo sentire: la pena per le folle sbandate, per la vedova che piange il figlio morto, la sua attenzione ai “lazzaro” di cui nessuno si accorge, il suo tocco sui lebbrosi tenuti a distanza da tutti, la sua gioia per le scelte del Padre che privilegia i piccoli, la sorpresa di trovare fede anche fuori dal “popolo eletto”; ma anche la sua reazione dura, tagliente contro l’ipocrisia che deforma ciò che c’è di più bello nella fede, che si prende gioco dei semplici e li opprime, che fa del Padre un despota… Gesù era appassionato per ciò che faceva e che insegnava, per le persone cui si rivolgeva, e come accadde ai discepoli di allora, la nostra esperienza di missione è stata indubbiamente un appassionarci per la gente diventata “nostra”, sapendo che questo ci rendeva intimi di Gesù, ed era anche una risposta a lui, che ci aveva scelti per essere suoi amici. La sua passione per loro passava, in un certo modo, attraverso di noi, e la nostra passione per loro si alimentava e aveva come modello la sua.
Altri passi ci hanno poi orientato. Fra tutti, l’identità che Gesù dichiara di se stesso, sottolineando che sta in mezzo a noi “come uno che serve”; e anche la descrizione di se stesso come una vite a cui i tralci devono rimanere uniti per avere vita e per portare frutti. Dunque, amicizia come scelta di Gesù che ci chiama e condivide con noi, e amicizia come fedeltà nostra a Lui, ricevendo pienezza di vita e di frutti. Questa immagine, evoca anche la potatura, e pure questo è stato uno spunto per riflettere sulla nostra esperienza di missionari ormai “stagionati”.
Per farla breve, abbiamo dato tempo di riflessione e poi di condivisione, a ciascuno di questi temi: “cinquant’anni di amicizia con Gesù”, “cinquant’anni di servizio come Gesù”, e “cinquant’anni di frutti e di potature.”
(continua)
P. Franco Cagnasso
Articoli correlati
Dall’Iran all’Italia per arrivare alle Olimpiadi di Parigi
Nella squadra olimpica dei rifugiati, ci sono anche due giovani iraniani, Iman Mahdavi e Hadi Tiranvalipour, che in I…
Ritorno
Eccomi qui, di nuovo con una “scheggia” certamente inattesa: la precedente, numero 239, risale a più di un anno fa: n…
Egitto, il turismo scopre la magia di Siwa
L’oasi nel Sahara, circondata da una natura rigogliosa, ha una lunghissima storia e una cultura unica, dovuta al suo …