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Clandestini

La storia è apparsa a più riprese sui giornali, complicata e tutt’altro che chiara. Ecco la mia ricostruzione, approssimativa: qualcuno, certo un gruppo bene organizzato e compatto, mette insieme i soldi per affittare una nave e al confine fra Bangladesh e Myanmar vi fa salire forse un migliaio di Rohingya scappati dall’enorme campo profughi che li ospita a Cox Bazar, convinti di poter presto approdare in Malaysia e trovarvi un lavoro sicuro. La nave in Malaysia non ci va: si limita a far trasbordare oltre 300 Rohingya su un enorme barcone, salutandoli con un incoraggiante “arrangiatevi”, e prosegue per i fatti suoi. Il barcone resta in mare per oltre due mesi, senza riserve di viveri e acqua. Muoiono e vengono gettate in mare oltre oltre 150 persone. Poi una nave del Bangladesh li intercetta e li riporta al punto di partenza… Ma questa storia non ha fatto molto rumore: i Rohingya qui sono un tema da trattare con cautela. Invece la tragica morte in Libia di 28 cittadini bengalesi, uccisi per vendetta perché si erano ribellati all’imposizione di altri ricatti per ottenere l’agognato passaggio verso l’Europa, una certa eco l’ha avuta; ha persino costretto a dare un’occhiata, per vedere se – chissà mai – qualche responsabilità si possa trovare anche in casa propria. Non è stato difficile risalire all’agenzia cui questi emigranti si erano affidati, e scoprire quello che tutti sapevano, cioè che si tratta di una grossa organizzazione criminale che da anni guadagna montagne di soldi sul “commercio” di manodopera clandestina, quasi tutta diretta verso l’Europa via Libia. Qualcuno è stato arrestato e le attività dell’agenzia sono state bloccate. Poi è saltato fuori (collegato o no, non lo so) un altro “caso”: il Kuwait ha incriminato e arrestato un deputato del parlamento del Bangladesh, il capobanda di un’altra simile organizzazione, che mandando in quel paese migliaia e migliaia di lavoratori clandestini, ha guadagnato cifre… di tutto rispetto. Ovviamente in collusione con politici e non del Kuwait.

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