Come accompagnare i cristiani che riempiono le chiese di Yaoundé
Domenica scorsa a Nvog Ebanda, seconda domenica di Quaresima, ho sentito l’appello di 34 catecumeni che hanno chiesto il battesimo. Uno è di Yaoundé, gli altri quasi tutti bamileké, etnia dell’Ovest, commercianti. In questi cinquant’anni di presenza a Yaoundé, durante il lavoro nell’antica parrocchia di Etoudi, abbiamo assistito e contribuito alla nascita di tre nuove parrocchie. Incominciando con la costruzione di una cappella, si dava la possibilità di venire a pregare agli abitanti che continuamente arrivavano e nacquero così le comunità. Ogni anno a Yaoundé ci sono migliaia di nuovi battezzati. Ogni anno qualche parrocchia nuova. Come prepararli, come seguirli? Come stanno vivendo da cristiani? Spesso ci poniamo domande sullo sviluppo della Chiesa.
Mi piace ricordare quando, anni
fa, il cardinale Martini disse ai missionari preoccupati e pieni di
interrogativi: «In simili frangenti, potresti avvertire il bisogno di tornare
alla purezza iniziale, alla radicale serietà della scelta. Forse venite colti
da un fastidioso senso di amarezza (“Ho sbagliato tutto”) e
desiderate essere di nuovo severi, esigenti, austeri… Decidete, allora, di eliminare dal vostro
approccio missionario ogni accondiscendenza con la cultura locale e con le
troppe debolezze dei gruppi umani con cui vivete e ridiventare uomini e donne
della legge: niente più matrimoni di prova o in fieri, niente più comprensione
della poligamia, niente più bonarietà, o permissività, o approssimazione…
Solo Vangelo allo stato puro! Ma è difficile persistere in questo
atteggiamento. (…) Mantenere quella posizione di rigidità diventa estenuante,
deprimente per voi e per tutti. E allora mollate la presa e
“dondolate” dall’altra parte: tornate a essere benevoli, bonari, se
non libertari, pazienti, permissivi per poi pentirvi, appena notate nuovi
tradimenti del vangelo. Fate come il pendolo: ora tutto da una parte, ora tutto
dall’altra. Dove penso possa trovarsi quella che definirei una posizione di
“equilibrio evangelico”? Non certo a metà strada tra la rigidezza e
la permissività. L’unico luogo in cui un apostolo del vangelo deve situarsi per
non ammalarsi della sindrome del pendolo è sul Golgota. Più precisamente sulla
Croce. Più precisamente ancora, nel cuore trafitto di Cristo. Piazzatevi lì. E
dalla fessura procurata dalla lancia, osservate la vostra gente. Forse vedrete
che i più sono molto lontani, ancora alle falde del monte o appena all’inizio
del pendio. Continuate a guardarli, a contemplarli. Soprattutto, amateli con la
vampa d’amore che arde in quel cuore. Non legatevi troppo a questa o quella
tabella di marcia. Non riprendeteli se li vedete salire zigzagando, o se
rallentano, o se cadono e si fermano. Una sola deve essere la vostra
preoccupazione: che la gente non faccia mai un percorso a ritroso, cioè un
cammino che la allontani da quel cuore e da quell’amore. Concedete loro di
salire con la velocità di cui ognuno è capace e con le pause di cui necessita.
Rispettate il fiatone che molti potrebbero avere. E se cadono, invitateli a
rialzarsi. L’importante che riprendano il cammino che li avvicini a quel cuore,
che è il centro dell’amore che muove ogni cosa».