Come “dire” Gesù nel mondo “plurale” d’oggi
Il libro Solo con l’altro. Il Cristianesimo, un’identità in relazione” (Emi), scritto da Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola, presentato in Avvenire del 22 marzo 2018, tratta questo argomento: Come “dire” Gesù nel mondo “plurale” d’oggi?
Il testo indaga il dualismo dialogo/annuncio cristiano che ha spesso contrapposto pensatori e diviso anche i credenti. Anch’io sono stato oggetto e soggetto di interrogativi quando, dopo trenta anni di annuncio e evangelizzazione vissuta in Camerun, sono passato in Algeria e vissuto dieci anni, mentre anche alcuni membri dell’Istituto missionario Pime si chiedevano perché “sprecare” missionari nel deserto dell’Algeria dove non ci sono cristiani.
Il brano del libro presentato continua dicendo: «I cristiani non devono aver paura del plurale, sia perché Gesù stesso è stato compreso e annunciato fin dall’inizio in diversi modi, sia perché l’accoglienza della sua singolarità permette di discriminare il vero dal falso pluralismo e di apprezzare tutto ciò che di autentico vi è nella pluralità delle culture e delle religioni. (…) Da qui la necessità per la Chiesa di mettersi in ascolto delle istanze dei contemporanei… Una delle più grandi sfide della teologia è oggi proprio quella relativa alla bellezza. Bonhoeffer precisa : “Per secoli l’annuncio si è innestato nell’insufficienza umana, nel “brutto” della sofferenza e della morte… È tempo, per la fede e la teologia di pensare a fondo l’annuncio del Vangelo come pienezza del bello».
Nella stessa pagina di Avvenire c’è un altro titolo: POP-THEOLOGY non solo canzonette. Il vescovo Staglianò e il teologo Lorizio sono a confronto sui semina Verbi presenti nei testi di musica leggera da De André a Gabbiano, nel genere fantasy e fantascientifico oltre che in tanti film come il recente trionfatore degli Oscar “La forma dell’acqua”. Staglianò conclude dicendo: «La Pop-theology è una sorta di aratura che smuove il campo del nostro cattolicesimo convenzionale e apre a una Chiesa in uscita. Valorizzando la grammatica dell’umano che si esprime nelle canzonette, possiamo rintracciare i semina Verbi laddove si trovano. Essa è terreno fecondo di scambio tra il Vangelo, la fede e le forme di espressione tipicamente umane, anche quando non dichiaratamente non cristiane». Argomenta Staglianò: «Da sempre sono convinto che la “canzone da niente” come la chiama Rahner, abbia un valore culturale specifico e una sua qualità letteraria chiara».
Ci raggiunge la cantante suor Cristina, sempre in Avvenire del 21 marzo 2018, che dice: «Nel nuovo disco, la gioia di Dio». Nel video di “Felice”, lei balla coi ragazzi e si riempie di colori. E spiega: «Quando l’essere umano trova un equilibrio fra ciò che è terreno e ciò che è divino, è invaso da una gioia incredibile. La felicità è qualcosa di molto profondo, la certezza che dentro di te c’è qualcosa che ti tiene in equilibrio… Quando incontri Gesù hai bisogno di correre a raccontarlo agli altri. Poi il Signore usa le forme più disparate. Si è servito anche di una giovane suora vista in un talent. Gesù non era ordinario, era criticatissimo, il suo obiettivo era andare verso gli ultimi, verso coloro che non avevano ancora incontrato il suo sguardo. Desidero arrivare anche a chi Gesù non l’ha ancora incontrato, con testi che, in una maniera implicita, contengano comunque il suo messaggio. Sono canzoni d’amore che io dedico a Dio, ma qualcuno può dedicarla alla mamma, alla fidanzata, al marito».
Anche il Corriere della Sera di venerdì 23 marzo, scrive di suor Cristina che alla domanda: «Qual è la sua missione con la musica?», risponde: «Arrivare ai cuori delle persone, è stato grazie alla musica che il Signore mi ha chiamato a sé. E ora voglio ridare quello che ho preso: usare del potere della musica per poter comunicare. Nelle mie canzoni non parlo apertamente di Gesù, ma c’è sempre un messaggio implicito di amore, bellezza e speranza».
In Algeria non potevo portare la croce e non potevo fare proselitismo. Il mio pulpito era il marciapiede, dove bevevo il tè seduto con chi mi invitava. Insegnando in francese o in italiano, a casa, testi di buona educazione, di buon umanesimo. Accogliendo il cous cous delle mamme dei miei alunni, o la parte di carne che i vicini dedicavano ai poveri nella festa del montone. E dopo aver celebrato la Messa presso le Piccole Sorelle di Gesù, arrivando in piena piazza centrale, seduto a fianco del carrettiere sul carretto tirato dall’asino e salutato dai poliziotti come un generale. Alla fine sono diventato amico di tutti e, quando sono partito, alcuni mi hanno salutato dicendo: «Arrivederci in Cielo!».
Partendo dall’Algeria, un professore col quale ho lavorato e dialogato tanto, ha voluto scrivere: «Quando trovi l’amore, non lasciarlo passare: sia la cosa più bella della tua vita. È ciò che ci insegna padre Silvano. Si è impegnato perché l’amore regni nella nostra regione, e sia un simbolo sacro e vivo per tutti gli abitanti di Touggourt. Ha acceso tante lampade di giovani e anziani. È stato paziente nelle difficoltà, ad insegnare il francese. Che Dio Onnipotente lo protegga e l’aiuti a portare un di più a questa regione. Che avrà sempre bisogno di lui».
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