Debolezza
La Chiesa vive un momento di debolezza. Ci sentiamo tutti coinvolti e ne portiamo il peso. La parola si fa più sottovoce, la forza della verità più discreta, il silenzio medicina. Nel cuore cresce il lamento, la preghiera. Ma l’animo si fa più forte, la voglia di migliorare c’è ancora. L’appartenenza è più convinta, diventa fierezza anche se meno visibile. Nella Pasqua recente, un mio fratello mi dice che ha notato una partecipazione di cristiani più intensa.
Christian Chessel, giovane Padre Bianco ucciso a Tizi Ouzu assieme a tre confratelli, scriveva: «La debolezza non è in sé una virtù, ma l’espressione di una realtà fondamentale del nostro essere che deve essere ripresa, rimessa al suo posto, animata dalla fede, dalla speranza e dalla carità per lasciarci conformare alla debolezza di Cristo. Questa debolezza ben compresa diventa il linguaggio migliore per esprimere l’amore discreto di Dio agli uomini, amore pieno di discernimento, discreto come quello di chi ha voluto condividere la nostra situazione umana. Diventa un invito a creare delle relazioni di non-potenza con gli altri. Accettata la mia debolezza, capisco quella degli altri e a condividerla come ha fatto Gesù».
Mons. Henri Tessier, arcivescovo emerito di Algeri, spiega: «Ritornando allo spirito del dialogo rimesso in valore dal Concilio, lo vediamo anzitutto come rispetto del cammino dell’altro e dono di Dio fatto alla Chiesa. E la Chiesa diventa segno di questo dono e serva di questo dono per la vita degli altri, al di là delle frontiere. La Chiesa accoglie il dono e ne fa oggetto di ringraziamento come ha fatto Gesù davanti alla fede del Centurione e della donna siro-fenicia.
La debolezza ci ha portati ad essere ancora più fedeli alla nostra missione. Sono loro, i musulmani, che si fanno più vicini quando viviamo deboli in mezzo a loro e vengono a visitarci e chiederci di condividere gioie e pene».
Fedeltà di testimoni
Don Bruno Maggioni scrive: «Il martire colpisce e affascina per la libertà della sua morte, piena di significato; il martire muore per una ragione, non semplicemente perché ogni uomo è destinato a morire».
Mons. Tessier vede nel martirio dei 19 religiosi/e uccisi nel periodo ’93/’96 un martirio di fedeltà a un popolo musulmano e non solamente un martirio in odium fidei. Mentre tanti cristiani algerini nei momenti difficili avevano lasciato l’Algeria, i membri di varie congregazioni hanno voluto restare.
Dopo il Vaticano II hanno rinunciato alla gioia di scegliere un lavoro missionario in regioni dove, grazie a Dio, la Chiesa cresce abbondantemente. Hanno creduto alla parola della Chiesa che li aveva mandati a cercare dei fratelli e delle sorelle da amare tra i credenti dell’islam. Hanno creduto che anche lì il Regno di Dio è presente e si sviluppa. Hanno creduto che anche nell’islam lo Spirito di Dio agisce e produce i frutti del regno. Hanno creduto alla fedeltà di musulmani in cammino verso la riconciliazione e la fraternità umana.
Quelli che sono stati uccisi erano rimasti vicini ai liceali del quartiere povero della Casbah di Algeri, alla popolazione della Kabilia, alle piccole comunità, ai contadini e ai più poveri…
Anche chi non è stato ucciso ha vissuto la stessa fedeltà di testimone.
Questa fedeltà l’aveva già vissuta l’algerino sant’Agostino. All’arrivo dei Vandali in Algeria, uno dei tanti vescovi allora presenti, Quotvuldeus, chiese ad Agostino di mettere in salvo il suo clero perché potesse essere ancora utile altrove.
Agostino rispose : «Il buon pastore dà la sua vita per le sue pecore. Nel pericolo non parte… parte solo se il gregge decide la fuga».
Questa fedeltà, la Chiesa la vive come vocazione ed è la stessa che Dio vive con l’umanità: fedeltà tra il bisogno profondo di ogni uomo di vivere con Dio e con gli altri simili e quello che Dio vive in se e che continua ad alimentare nel cuore dell’uomo.
Negli incontri che vivo ogni giorno qui a Touggourt, mi convinco sempre di più del bisogno innato, in ogni persona, di fraternità e della mia responsabilità di testimone.
Una mattina, prendendo il caffè, ho sommato gli anni di presenza in Algeria delle quattro Piccole Sorelle di Touggourt : 192 ! Due di loro hanno la nazionalità algerina e tutte vogliono camminare ancora…
Di loro, mons. Marangon, noto biblista trevigiano che le ha seguite nel loro cammino spirituale in varie parti del mondo, scrisse, in occasione dei settant’anni in Algeria e a Touggourt: «Sono debitore di tanta luce per l’eredità evangelica che si vive presso di voi… Voi assicurate al “Vangelo di Nazareth” il valore di segno. Prego il Signore… perché abbiate il coraggio (eroico) di essere fedeli alla gratuità del “segno di Nazareth…Vi ringrazio pure di un’altra nota tipica della vostra identità vocazionale: quella di pregare e di offrire ogni giorno la vostra giornata al Signore “per i fratelli (anzitutto) dell’islam (e poi anche) del mondo intero!”».
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