Fatica
Un anno fa, mi stavo godendo a Dinajpur i primi giorni di “libera uscita” dall’incarico di superiore regionale del PIME in Bangladesh quando, verso le 8.30 di una mattina fresca e piacevole, è arrivata una telefonata: “P. Piero ha avuto un incidente, è in strada sanguinante, qualcuno dice di aver sentito un colpo, uno solo, forse gli hanno sparato… Fratel Massimo sta andando sul posto”. Inizia così una giornata di angoscia, confusione, rabbia, conclusa con un elicottero-ambulanza della marina militare del Bangladesh che trasporta p. Piero a Dhaka. P. Piero si è poi rimesso bene, ma le conseguenze di quell’unico colpo di pistola che l’ha colpito al collo sfiorandogli organi vitali si sentono ancora, qui fra noi, perché giustamente il Superiore l’ha trattenuto dal ritornare, e la sua assenza non è cosa da poco. E poi, molte cose sono cambiate: la polizia ancora controlla giorno e notte le nostre missioni del nord, e non si può circolare senza scorta; Le forze dell’ordine hanno insistito perché P. Belisario si trasferisse da Dhanjuri, dove lavorava, andando in un posto meno pericoloso. Gli amici che ci visitavano dall’Italia non sono più venuti a trovarci, far domande, mostrarci la loro simpatia. Le notizie di altri attentati ci hanno rattristato spesso, specialmente la strage di oltre venti persone, fra cui 10 italiani che alcuni di noi conoscevano, massacrati in un ristorante a Dhaka, il primo luglio. Ma non è tutto. Per ragioni diverse, prima fra tutte la salute, poi problemi di famiglia e incarichi in Italia, quest’anno nove membri della comunità PIME (che ne conta in tutto 29) hanno dovuto lasciare il Paese. Qualcuno, speriamo, tornerà, ma per qualcuno le prospettive di ritorno sono a lungo termine o incerte. Intanto, nessuno fra quelli rimasti è diventato più giovane, e gli acciacchi non mancano.
Un anno faticoso.
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