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Gioia missionaria degli anni Sessanta

Ecco la testimonianza di una giovane della  Lega missionaria studenti di Treviso. È difficile oggi ricordare in maniera coerente e seguendo percorsi logici, gli avvenimenti legati alla nascita e allo sviluppo della Lega Missionaria Studenti nel territorio di Treviso. Appartengono agli anni lontani della nostra adolescenza-giovinezza, e si localizzano proprio a cavallo degli anni Sessanta, periodo di grande fermento sociale, politico, religioso e scolastico soprattutto nell’ambito giovanile, al quale neppure la nostra tranquilla città poté sottrarsi, fino a modificare quasi inconsciamente la propria statica realtà. I ricordi ci riportano al vecchio Seminario del Pime di Piazza Rinaldi, fucina di vocazioni missionarie in tanti giovani che coltivavano l’ideale di travalicare le frontiere per realizzare l’avventura cristiana in modi “altri”, accanto ai fratelli più lontani, dal mondo normale spesso sconosciuti oppure dimenticati. Non fu però un missionario ad accendere in noi la curiosità per quel nuovo movimento studentesco, bensì il Direttore Spirituale del collegio Pio X, Don Antonio Marin che parlò con entusiasmo ai nostri genitori della nascita di un gruppo comunitario interessato a sviluppare i problemi del “terzo mondo”. Così approdammo ad un mondo nuovo nell’ambito ecclesiale che si basava fondamentalmente su un forte vincolo comunitario, LEGA appunto, tra i membri del movimento, con il fine di vivere la MISSIONE offrendo il “senso dell’esistere”, in grande umiltà e rispetto, anche a fratelli di contesti culturali differenti, nella consapevolezza d’essere tutti figli di un unico Padre. La specificazione “STUDENTI si riferiva alla composizione dei suoi membri, per lo più giovani, tenuti a sviluppare lo studio non per creare un gruppo elitario, ma, al contrario, per approfondire sempre più le tematiche inerenti alle missioni e allo sviluppo dei popoli. Ancorate ad un’Azione cattolica che dava segni d’immobilismo, nella quale il dialogo generazionale era sconosciuto, le divisioni tra maschi e femmine ancora fortemente consolidate, la formazione spirituale basata più sul timor di Dio che sull’Amore, la scoperta del Movimento Missionario rappresentò per noi un’esplosione di fermenti. Sperimentammo che il segno giovanile di quei tempi era porsi in maniera differente di fronte all’ “altro”, senza sentirsi i soli depositari della verità, come spesso avveniva nelle parrocchie a quei tempi, perché ogni “altro” era depositario di verità diverse da riconoscere, approfondire e confrontare Il porsi in atteggiamento nuovo di fronte a tutti favoriva il dialogo, la conoscenza, il rispetto e quindi l’amore scambievole in un clima di fratellanza universale che dava tensioni nuove, e ben più ampie, alla nostra fede vissuta fino a quel momento in maniera individualistica e abbastanza formale. Così partecipammo ai gruppi che si ritrovavano al Pime, attorno a padre Silvano Zoccarato, per vivere la nuova esperienza, avvertendo quasi inconsciamente che stavamo diventando partecipi di una travolgente trasformazione. Eravamo uniti da obiettivi comuni e la conoscenza era lo strumento per indagare il mondo ed imparare ad amarlo proprio nelle sue diversità. E nel gruppo non c’erano più separazioni tra maschi e femmine, tra giovanissimi e più grandi, tra studenti e operai, tra benestanti e poveri, insieme eravamo davvero Lega, pur nel rispetto delle caratteristiche individuali. Paradossalmente l’aconfessionalità del movimento, la sua apertura a tutti in un nuovo, per quei tempi, spirito d’accoglienza, sostenne la crescita spirituale nella ricerca della propria vocazione passando attraverso la riscoperta di Cristo, un modo incisivo di assimilare la Carità, un senso nuovo di Giustizia verso tutti. E poi si respirava lo Spirito de Concilio come energia vitale che passava attraverso i nostri cuori portandovi la speranza per un mondo più giusto e più buono di cui ciascuno anche nel suo piccolo, diveniva parte operante fondamentale. “La grazia del rinnovamento non può avere sviluppo alcuno nelle comunità, se ciascuna di esse non allarga la vasta trama della sua carità sino i confini della terra, dimostrando per quelli che sono lontani la stessa sollecitudine che ha per coloro che sono i suoi propri membri.” (I documenti del Concilio- attività Missionaria della Chiesa – X -37 b ) I nostri punti di riferimento diventarono, tra gli altri, Raoul Follerau del quale condividemmo spiritualmente e propagandammo le campagne contro la lebbra, l’Abbè Pierre che nelle battaglie accanto agli chiffoniers incarnava realmente il Cristo degli ultimi, Nelson Mandela che si batteva contro l’apartheid pagando con il carcere il suo ideale di giustizia e libertà, e, più vicino a noi, Marcello Candia che, abbandonata un’intensa attività industriale ed una vita di benessere, proprio in quegli anni maturò la decisione di farsi missionario laico e si recò a Macapà dove, accanto a Monsignor Pirovano, pose le basi per la costruzione di un grande ospedale. Nel corso di quegli anni promuovemmo mostre fotografiche itineranti sui problemi della lebbra o della Fame nel mondo e incontri con relatori d’ altri continenti per conoscere i loro paesi dall’interno e dibatterne le problematiche. Ricordiamo ancora come avvenimento eccezionale nella nostra vita la partecipazione alla Settimana di Studi di Missionologia presso L’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, alla quale fummo invitate a intervenire per alcuni anni, nel mese di settembre. Monsignor Squizzato, responsabile del Settore Missionario in Diocesi, contribuiva a finanziare i nostri viaggi e il mondo che si apriva ai nostri occhi, finora limitato ad una visione provincialissima, non aveva più confini. I relatori che si susseguivano al Convegno erano quanto di più autorevole ci potesse essere allora nella cultura missionaria in Italia e nel mondo: Arcivescovi e politici, giornalisti e presidenti, mediatori interculturali e missionari, e la loro parola diveniva geografia, cultura, conflitto, denuncia, poesia, arte. E negli intervalli, correvamo a vedere i tesori del Museo Missionario del Pime provenienti da tutto il mondo, oppure la sera, piene d’ emozione, ci dirigevamo all’incontro con l’Abbé Pierre, nostro profeta, in sette su una cinquecento scappottata, all’Auditorio di via Mosé Bianchi, tra migliaia di giovani commossi ed esaltati pronti a bere la linfa vitale delle sue parole. Tutto questo avveniva quando di sera i giovani, non più in maniera settaria ma integrati trasversalmente, cominciavano a fermarsi a discutere nelle piazze delle città parlando di politica e di fede, scambiandosi dischi e libri, organizzando dibattiti pubblici e cineforum, respirando forse per la prima volta la sensazione di essere parte integrante in una società diversa, che stava sempre più allargando verso nuovi orizzonti i propri confini. La Lega Missionaria è stata per noi tutto questo. I principi che ci ha trasmesso sono stati fondamentali nel corso della nostra vita per dare tensione alla nostra Fede e sviluppare sentimenti di accoglienza nei nostri rapporti con gli altri, poiché la nostra Missione l’abbiamo trovata nel nostro “mondo vicino”: nei gruppi amicali, nella scuola, nella famiglia, nel paese. In questo momento storico particolarmente difficile, nel quale sembrano riemergere le paure verso I’ “altro”, il diverso, e sembra che la gente si rinchiuda sempre più nel proprio individualismo e che i giovani si pongano in maniera passiva di fronte agli eventi che colpiscono il mondo, ci piace ricordare le parole di Senghor: ” Puoi strappare tutti i fiori ma non puoi impedire che la primavera ritorni.” E’ proprio ora che rinasca una nuova Primavera Missionaria. (Maris Fornaini)  

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