Il cristiano non si limita ad amare il prossimo
La parola ‘prossimo’ nella parabola del Buon Samaritano diventa ‘altro’. La domanda oggettiva dello scriba «chi è il mio prossimo?» si trasforma, alla fine, nella domanda soggettiva di Gesù «chi è diventato prossimo nei confronti dell’altro?». Questa mutazione indica che solo diventando prossimo si può veramente capire chi è il prossimo.
Mons. Ravasi
Nei confronti di questa dimensione dell’essere umano non basta quel tipo di amore che è l’amore per il prossimo, perché questo è un amore per cui nel prossimo vedo il prolungamento di me stesso, la realizzazione di me stesso. Lo chiamerei amore ombelicale, per cui nell’altro vedo qualcosa in cui la mia esistenza trova compimento: uscire da me per arrivare all’altro in realtà è un modo per tornare a me più ricco di prima.
Il rapporto con l’altro deve essere come quello di Abramo che esce dalla sua terra per andare in un posto sconosciuto che Dio gli indicherà. Il rapporto con il povero dal punto di vista biblico è proprio questo rapporto. Che cosa induce il samaritano a fermarsi? È la compassione che nasce dal grido dell’altro anche se muto e scuote il samaritano obbligandolo a fermarsi di fronte ad una carne che è al punto estremo della fragilità.
Armido Rizzi
Prossimo – lo dice chiaramente tutto il Vangelo – è ogni essere umano, uomo o donna, amico o nemico, al quale si deve rispetto, considerazione, stima. L’amore del prossimo è universale e personale al tempo stesso. Abbraccia tutta l’umanità e si concreta in colui-che-ti-sta-vicino.
Ma chi può darci un cuore così grande, chi può suscitare in noi una tale benevolenza da farci sentire vicini – prossimi – anche coloro che sono più estranei a noi, da farci superare l’amore di sé, per vedere questo sé negli altri? E’ un dono di Dio, anzi è lo stesso amore di Dio che “è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”. Non è quindi un amore comune, non una semplice amicizia, non la sola filantropia, ma quell’amore che è versato sin dal battesimo nei nostri cuori: quell’amore che è la vita di Dio stesso, della Trinità beata, al quale noi possiamo partecipare. Sì, l’amore vero ama l’altro come se stesso. E ciò va preso alla lettera: occorre proprio vedere nell’altro un altro sé e fare all’altro quello che si farebbe a sé stessi. L’amore vero è quello che sa soffrire con chi soffre, godere con chi gode, portare i pesi altrui, che sa, come dice Paolo, farsi uno con la persona amata. E’ un amore, quindi, non solo di sentimento, o di belle parole, ma di fatti concreti.
Chi ha un altro credo religioso cerca pure di fare così per la cosiddetta “regola d’oro” che ritroviamo in tutte le religioni. Essa vuole che si faccia agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi. Gandhi la spiega in modo molto semplice ed efficace: “Non posso farti del male senza ferirmi io stesso”.
Chiara Lubich
C’è una nuova primavera per l’Europa : accogliere, amare, integrare l’altro.
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