Il grido delle pietre
Varie volte ho incontrato ad Algeri Jean-François Debargue durante le pause delle sue presenze tra i saharawi, che sono da trenta cinque anni in esilio nel deserto algerino. Ha deciso di essere la loro voce con un libro che mi ha dato e che ho appena letto durante le dieci ore del viaggio che mi ha ricondotto a Touggourt. Ecco un suo grido:
«Per averle viste e versate,
chi potrà impedirmi di pensare
che le lacrime degli uomini
hanno rese salate le acque dei pozzi?
Per averle sentite… gridate,
chi potrà vietarmi di immaginare
che le grida degli esiliati
sono nel canto del vento?
Dopo essere stati filtrati e assottigliati,
chi potrà smentire
che le sabbie delle dune e la polvere delle piste
siano le vite setacciate dei nomadi erranti?».
«Chi sono? Per i marocchini, il saharawi è un marocchino che si ignora. Per i francesi, il saharawi è qualcuno che potrebbe aver un rapporto col Sahara? Per gli spagnoli, il saharawi permette di avere una buona coscienza in cambio di una “indennità umanitaria”.
Per il Programma alimentare mondiale un saharawi è ogni mese: 8 kg di farina, 1 kg di zucchero, 1 litro d’olio, 1 kg di cipolle, 1 kg di patate, 1 kg di proteine di cereali, 2 kg di miglio, 2 uova, 1,5 kg di riso, 500 gr di carote, 500 gr di mele e a volte ogni tre mesi: 1 o 2 kg di lenticchie, 500 gr di datteri, 500 gr di pasta.
Per le statistiche un saharawi è da 35 anni un quarto di popolo nei campi dei rifugiati, un quarto nei territori occupati (dal Marocco), un quarto nei territori liberati e un quarto seminato in diaspora.
Per Dio, un saharawi è un seme caduto e dimenticato, del deserto, in attesa e nella promessa di germinare».
Ormai i saharawi non hanno più voce, non hanno più forza di gridare. Questo “Grido delle pietre” (il titolo del libro), l’amico Jean-François me lo ha affidato anche per voi.