Il martirio di padre Fausto Tentorio
«Il martire colpisce e affascina per la libertà della sua morte, piena di significato; il martire muore per una ragione, non semplicemente perché ogni uomo è destinato a morire». (don Bruno Maggioni)
Ancora un confratello martire. Quale ragione nel martirio di padre Fausto Tentorio? Solo, col mio computer che mi porta la notizia dell’uccisione, rivedo padre Fausto e prego per lui e per l’Istituto.
Leggo: padre Fausto Tentori è stato ucciso oggi alle ore 8.30 locali nella cittadina di Arakan, nell’isola di Mindanao (Filippine). Aveva appena finito di celebrare la Messa nella parrocchia di Arakan e stava entrando in macchina quando uno sconosciuto in moto gli ha sparato. Soccorso dai fedeli, è stato subito portato al più vicino ospedale, distante trenta chilometri, ma inutilmente. Padre Fausto era nato a Santa Maria di Rovagnate, in provincia di Lecco, nel 1952.
Partito nel 1978 per le Filippine, aveva lavorato inizialmente ad Ayala, nella diocesi di Zamboanga. Era passato nel 1980 alla diocesi di Kidapawan, prima nell’area di Columbio, poi dal 1986 in quella di Arakan. Impegnato già a Columbio con le comunità indigene, pur lavorando anche con quelle cristiane, nel 1990 aveva deciso di impegnarsi a tempo pieno con i tribali della zona, i manobo, circa ventimila persone in via d’estinzione. A partire dal 1955, con l’arrivo dei primi coloni, a queste popolazioni erano stati tolti migliaia di ettari di foresta, loro habitat naturale. La scomparsa della terra avrebbe portato anche alla scomparsa delle tribù. Con l’aiuto della Cei e di alcune organizzazioni governative e non, era riuscito in questi anni a far sì che il governo riconoscesse la priorità dei tribali sulle terre ancestrali rimaste. Il lavoro era poi continuato con la promozione di cooperative agricole, l’educazione sanitaria e l’alfabetizzazione. Negli ultimi tempi era anche impegnato per fermare la diffusione dell’industria mineraria, altro elemento di distruzione delle popolazioni indigene. Proprio per questa sua attività a favore degli ultimi, padre Fausto era già stato in passato oggetto di minacce ed era scampato ad altri attentati.
Tempo fa aveva detto: «Si potrebbe pensare che andare nelle Filippine è un viaggio nell’ignoto, in mezzo a persone che ti inseguono, che ti vogliono rapire, che cercano la “testa del turista”. Invece, la prima cosa che ti sorprende, quando arrivi, è la grande disponibilità e umanità della gente. Dagli addetti all’aeroporto, ai poliziotti (sì, anche loro sanno essere simpatici…), dagli altri viaggiatori che ti tengono compagnia durante le quattordici ore di volo sino al signore delle pulizie dell’aeroporto di Manila, che si fa in quattro per indicarmi il gate giusto per prendere l’aereo per Davao… E poi i bambini… E poi … E poi …».
«Uno dei cambiamenti più importanti che avviene attraverso la scuola – spiega Tentorio – è che i manobo prendono coscienza dei propri diritti soprattutto per quanto riguarda la difesa delle proprie terre».
Martirio per fede o per amore?Qui in Algeria si è parlato molto di martirio. Corro a rivedere le note che conservo sul martirio dei monaci di Tiberine. Christian de Chergé, il superiore dei monaci di Tiberine, disse in una sua omelia : «Si dovette attendere Massimiliano Kolbe perché la Chiesa riconoscesse il titolo di martire a una testimonianza che fu più di carità che di fede. In realtà anche nella definizione classica del martirio assieme alla testimonianza di fede si parla anche di virtù…».
Il martirio dei monaci è fedeltà a un popolo come quella di Gesù per l’umanità. Nell’ultima cena Gesù fece dono della vita che visse poi sulla croce. Anche nei monaci ci fu offerta della vita e sacrificio. Christian diceva: «Non sarà l’emir Sayat a prendermi la vita, perché l’ho già donata».
Christian spinge il suo amore per il suo popolo fino a non volere che qualcuno sia responsabile della sua morte. Scriveva nel suor testamento spirituale: «Non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio ».
Restare a Tiberine fu solo per fedeltà a quello in cui credevano, non una provocazione.
Anche padre Fausto era rimasto. Ed è lì col suo popolo.