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Il Papa in frontiera a Cipro

Non le folle oceaniche, ma la piccola comunità. L’ho seguito alla televisione con gioia indescrivibile, me lo sentivo vicino. Cari amici, mi piacerebbe condividere con voi la riflessione che sto facendo dopo la visita del Papa a Cipro. Penso che Benedetto XVI debba aver fatto una esperienza profonda, trovandosi alla frontiera e a contatto concreto con delle realtà che esistono, nuove, non soltanto all’interno delle religioni che conosciamo, ma anche all’esterno, in un mondo secolarizzato. La sua presenza è stata un’occasione per molti di avvertire e di dire che lui, la Chiesa, hanno ancora qualcosa che li interessa. Ha detto: «Nel mondo attuale costatiamo sotto molti aspetti il dovere di ritornare alle radici dello spirito dell’evangelizzazione, in un mondo che veramente non accetta o conosce male il messaggio del Vangelo e al quale siamo ancora in dovere di portarlo». Il mondo ha ancora bisogno di una Notizia, buona. Quale? Le radici dello spirito dell’evangelizzazione cosa sono, quali sono? Mi piacerebbe sentire da lui che cosa ha provato, incontrando cristiani che vivono nella discrezione, prudenza, credendo all’incontro quotidiano. Lo sapeva già, ma credo che l’esperienza della Chiesa povera e nascosta gli abbia permesso di sentirne la vitalità e la vicinanza a Gesù. Durante il viaggio in aereo aveva detto: «Dobbiamo essere più consapevoli, approfondire anche i dettagli, anche se le culture diverse e le storie diverse hanno creato malintesi e difficoltà, cresciamo nella consapevolezza dell’unità nell’essenziale. Vorrei aggiungere che  naturalmente non è la discussione teologica che crea di per sé l’unità: è una dimensione importante, ma tutta la vita cristiana, il conoscersi, l’esperienza della fratellanza,  imparare nonostante le esperienze del passato, sono processi che esigono anche grande pazienza. Stiamo proprio imparando la pazienza, l’amore, e con tutte le dimensioni del dialogo teologico andiamo avanti  lasciando al Signore  quando ci dona l’unità perfetta». Durante la messa a Nicosia, ha ricordato l’importanza della croce: «Nei miei pensieri e nelle mie preghiere mi ricordo in modo speciale dei molti sacerdoti e religiosi del Medio Oriente che stanno sperimentando in questi momenti una particolare chiamata a conformare le proprie vite al mistero della Croce del Signore» In Medio Oriente,  i cristiani sono in minoranza e soffrono privazioni a causa delle tensioni etniche e religiose. Per questo, ha detto: «Molte famiglie prendono la decisione di andare via, e anche i pastori sono tentati di fare lo stesso». Ma poi  ha precisato: «In situazioni come queste, tuttavia, un sacerdote, una comunità religiosa, una parrocchia che rimane salda e continua a dar testimonianza a Cristo è un segno straordinario di speranza non solo per i cristiani, ma anche per quanti vivono nella Regione. La loro sola presenza è un’espressione eloquente del Vangelo della pace, della decisione del Buon Pastore di prendersi cura di tutte le pecore, dell’incrollabile impegno della Chiesa al dialogo, alla riconciliazione e all’amorevole accettazione dell’altro». Mi è piaciuto tanto il suo farsi vicino con discrezione e umiltà. Come Pietro, che aveva detto: «Date ragione della vostra speranza con dolcezza e rispetto. Sarà questo a toccare il cuore». (1 Pt 3,16)

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