Inutilità – 1
29 gennaio 2019
Carissimo Franco,
ho potuto guardare in tivù diversi momenti della GMG a Panama. Ieri ho seguito parte della conferenza stampa del papa con i giornalisti, sul volo di ritorno. Una delle domande era sul perchè i giovani, ma in generale molte persone, sono lontane e indifferenti alla chiesa. Mancano i testimoni, ha detto il papa. Non gli eroi, ma chi vive quello che pensa e dice. Io aggiungo che spesso non mi chiedono cosa ne penso, ma solo se continuo a vivere come dicevo e come dico. Ti confesso che è davvero tanto difficile. Sai, per grazia di Dio conosco diverse persone impegnate a dimostrare con la vita la loro fede, ma io no. Io sono dentro queste mura e confido che le mani di chi opera nel mondo siano anche le mie. Dopo i fatidici tre anni tornerà a casa un mio amico missionario comboniano che fa il medico in Sud Sudan. Gli dico sempre che deve farlo anche a nome mio, perchè lì non ho potuto arrivarci. Perciò ti ripeto quanto anche tu sia prezioso. Mi vergogno quasi a dirti che sono con te, perchè io in fondo sto nella mia casa riscaldata con la luce, l’acqua corrente, il cibo sicuro… Scusami lo sfogo, ma mi sento così inutile e mi pare di non avere proprio una vita tanto semplice.
Maria
Aveva circa vent’anni Maria, frequentava l’università con buoni risultati, era appassionata di scoutismo, vivace e comunicativa. Pensava di andare in missione e dedicarsi a chi soffre. Poi… dopo una lunga giornata di mal di testa insopportabile piomba nel buio. Due mesi di incoscienza da cui riemerge per una vita assolutamente nuova ed impensata, con le capacità intellettive intatte, ma paralizzata, incapace anche di inghiottire. Cure interminabili e complesse la conducono a una condizione in cui parla, ma con una certa fatica, può lentamente scrivere al computer, si nutre con un sondino. Il cervello pieno di idee, domande, sogni, il cuore pieno di affetti e sofferenza, un caparbio aggrapparsi alla fede, anche se arida, la tenacia di ricominciare ogni giorno l’indispensabile “prendersi cura di sè” ma anche il comunicare con il mondo, riflettere, tenere aperto un dialogo con Dio senza “devozionismi” e smancerie, a volte conflittuale, mentre cerca di trovare il Vangelo nella sua esistenza, che rimane chiusa fra quattro mura, eppure ostinatamente aperta al mondo che la appassiona, indigna, la scandalizza e la fa fremere per ciò che vorrebbe dire e fare in mezzo a tante stupidità e a ottusi egoismi.
E’ per “colpa” sua, che continuo a scrivere queste “schegge di Bengala”. Qualche anno fa, demotivato e stanco di dibattermi fra troppi impegni, avevo deciso di smettere. Stavo scrivendo l’ultima scheggia, di congedo, quando mi arrivò una sua lettera. Non ci conoscevamo, nè mai avevo sentito parlare di lei. Mi raccontò qualche cosa di sè, mi disse di aver letto vari miei articoli con cui si trovava in sintonia, che le piacevano. Decisi che valeva la pena di continuare: se non per altri, per lei.
Ora le ho chiesto il permesso di far diventare “scheggia” quanto lei mi ha scritto due mesi fa, la mia risposta, la sua replica. Ha accettato volentieri; la ringrazio, anche a nome di chi ci legge.
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Dhaka, 30 gennaio 2019
Carissima Maria,
credo di intuire la tua frustrazione, il “sentirti inutile” perchè – davanti a tante cose che senti giuste e che vorresti fare – ti trovi impotente e “reclusa”.
Per chi, come me, è chiamato a tante attività, e ha tanti rapporti, questa sensazione è meno evidente e frequente, ma ogni tanto affiora – anche con forza: “tutto questo correre, fare, parlare, animare… dove arriva? a che serve?” Si dice che è una goccia in un oceano. E’ meno ancora; ne vale la pena? Non sono forse una trottola impazzita che gira vorticosamente… su sè stessa?
La risposta che trovo non è che la “goccia” tutto sommato è abbastanza grossa (!), o che la trottola – gira gira – arriverà da qualche parte, ma che dobbiamo accettare la nostra condizione di povertà e piccolezza, essere ciò che siamo stati chiamati ad essere e fare ciò che possiamo fare senza far conti e pretendere risultati, ma affidando tutto all’amore di Dio. Ciò che davvero ci sta a cuore (amore, pace, rispetto, fraternità…) non è misurabile, e nemmeno si trasmette su vie chiare e precise come i treni sulle rotaie o le onde radio, ciascuna sulla sua lunghezza. Sono microscopici frammenti di infinito il cui valore sta non nell’essere un po’ meno microscopici, ma nell’essere davvero frammenti di INFINITO, di Dio, di AMORE. Ecco perchè s. Teresa (se non sbaglio) dice che un atto d’amore vale più di tutto, e Paolo dice che qualunque cosa uno faccia, anche la più eroica, vale nulla senza amore. Papa Benedetto ha scritto che la beatitudine di “coloro che piangono” si riferisce a chi piange per i mali del mondo e per non poterli eliminare, ridurre, abolire; è beato perchè piange il pianto di Cristo; è unito a lui che ha percorso instancabilmente tanti villaggi per portare l’annuncio del Regno ed è finito in croce – la tortura più significativa dell’inutilità, quando Gesù è assolutamente impedito di fare qualsiasi cosa perchè tutto ciò che ha fatto è da buttare, e quindi si inchioda e poi si butta via anche Lui. Finisce in croce grazie al tradimento di un discepolo. Si può immaginare un fallimento più grande?
La croce, momento della massima inutilità di Dio.
Non so se circola ancora nelle parrocchie una preghiera diffusa anni fa, che dice che Cristo non ha più mani, ha le tue. Tu dirai che le tue non le ha, perchè non le puoi usare per svolgere le attività che sarebbero di Gesù. Forse la risposta è che le tue sono così unite alle sue che sono insieme, crocifisse, inutili dell’inutilità di Cristo stesso.
Che però ha mosso e muove milioni di persone, perchè sulla croce ama. Quando tu ti dispiaci della tua inattività, lo fai perche ami il bene, le persone povere, sofferenti, ignoranti, e vorresti aiutarle. Nella fede, e sulla pista che Gesù ci ha tracciato, noi diciamo che questo è un “frammento di infinito” del massimo valore, senza il quale tutto il resto non vale, e che invece vale anche se non c’è null’altro.
Qualche piccolo, piccolissimo segno che questo mistero di fede non è assurdo, ci viene donato.
(continua)
p. Franco
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