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La fede tra le braccia della mamma

Marco Roncalli nel suo volume Giovanni XXIII descrive l’ambiente della  religiosità vissuta dalla famiglia Roncalli : «In un rapporto di una inchiesta agraria riguardante la zona più vicina  a sotto il Monte troviamo : – Nel contadino il sentimento più profondo, dopo quello della famiglia, è il sentimento religioso (…).  La religione nel contadino è necessaria come quella che guida sul retto sentiero del buono e del giusto una casta intera di popolazione che poco o nulla istruita, da essa attinge i principi del retto e del giusto -.  E continua : “Una vita durissima, affidata alla provvidenza, dove una grandinata o la morte di un vitello potevano costituire  una rovina quasi irrimediabile. Tuttavia, proprio in questo mondo di disagi e ristrettezze, i valori cristiani  trovavano il terreno più naturale. La pratica religiosa era intensa, i riti vissuti con partecipazione. E così la pietas popolare, l’osservanza del culto, la frequenza ai sacramenti, al catechismo, le devozioni, gli appuntamenti del calendario liturgico disseminati lungo l’anno. Ma anche lo spirito di solidarietà era un punto fermo, e quando qualcuno aveva bisogno poteva contare sull’aiuto del consanguineo e del vicino». Papa Giovanni accenna spesso che ricevette anzitutto in famiglia i primi sentimenti di fede. Ecco come racconta la sua prima visita al santuario delle Caneve:  «Quando giunsi davanti alla chiesetta, non riuscendo ad entrarvi perché ricolma di fedeli, avevo una sola possibilità di scorgere la venerata effigie della Madonna, attraverso una delle due finestre laterali della porta d’ingresso, piuttosto alte e con inferriata. Fu allora che la mamma mi sollevò tra le braccia dicendomi : “Guarda, Angelino, guarda la Madonna come è bella! Io ti ho consacrato a lei”. E viveva i suoi primi anni in famiglia  : “Nella mia casa paterna, la mattina quando aprivo la finestra, la prima chiesa che vedevo era la vostra ( Frati Francescani ), “un piccolo cielo dove si respira aria di eternità”,a Baccanello, e ricordando che, quando le campane del conventino chiamavano i frati al coro per l’ufficiatura di sesta e nona… sua madre metteva sul fuoco il paiolo”.  Vengo dall’umiltà. Fui educato a una povertà contenta e benedetta che ha poche esigenze e protegge il fiore delle virtù  più nobili e alte e prepara alle elevate ascensioni della vita”». Quando il piccolo Angelo cessò di aver bisogno della mamma, fu il prozio Zaverio a prenderselo tutto per sé e gli infuse con la parola e con l’esempio le attrattive della sua anima religiosa. Una vita ritmata dal suono delle campane, dalla preghiera dei frati e dal profumo della polenta quotidiana. Il tutto dentro un ambiente campagnolo animato  continuamente dall’avvicendarsi, dalla bellezza e dalla voce della natura che esprime e ricorda l’azione del Creatore. Persona umana, natura, Creatore uniti in alleanza, collaborazione, rispetto e armonia. Sembra di riudire il Vangelo della Provvidenza: «Mi ha tolto dalla campagna sin da piccino, con affetto di madre amorosa mi ha provveduto di tutto il necessario. Non avevo pane e me l’ha procurato, non avevo di che vestirmi e mi vestì, non avevo libri per studiare e pensò anche a quelli. Talora mi dimenticavo di lui ed egli mi richiamò sempre con dolcezza; mi raffreddavo nel suo affetto ed egli mi scaldò al suo seno, alla fiamma onde arde perennemente il suo cuore». Le braccia della mamma sono le braccia del creatore che prolunga la sua azione e il suo amore nella famiglia, nella natura, nella storia e nella tradizione.  

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