Land Grabber
È una espressione inglese usata in Bangladesh per indicare chi ruba, occupa, invade terre altrui: un’attività molto diffusa, di cui sono spesso vittime le minoranze, ma non solo: un vero Land Grabber è di mentalità aperta, non fa discriminazione di religione, razza, cultura, sesso, età…Ultimamente il governo ha dato il via ad un grande progetto di sviluppo turistico, urbanizzazione, industrializzazione e compagnia nella regione di Cox Bazar (sud-est). Il progetto comporta l’espropriazione di vaste estensioni di terra, e i Land grabbers, professionisti e dilettanti occasionali, si sono messi al lavoro alla grande. Il sistema è semplice: si sceglie una famiglia povera che ha una casetta malandata e un pezzetto di terra. Si manda là un gruppo di persone per spiegare premurosamente che bisogna vendere la terra alla svelta, altrimenti il governo porta via tutto. Loro sono disposti a difenderli comprando la terra con un buon prezzo, senza far pagare i documenti di vendita che sono già pronti e completi: basta firmare, e ricevere subito in contanti 30 o 40mila taka. Un affarone! Se i poveracci esitano, dopo qualche giorno arriva un altro gruppo che distrugge la casa, porta via le bestie, e fa vedere che cosa farà il governo se non vendi. Nel giro di pochi giorni sono stati derubate in questo modo oltre 400 persone che, unitesi per protestare, hanno pure preso botte e si sono viste ridurre il “prezzo” che i Land Grabbers erano disposti a pagare. Alla fine, i “Grabber” (funzionari governativi, proprietari terrieri, giornalisti, politici), hanno venduto la terra al governo: un pezzo “pagato” 30.000 taka può spuntarne 300mila dal governo…
Nella zona di Modhupur (nord di Dhaka) ci sono ancora alcune aree forestali, entro cui (o ai cui margini) vivono da secoli gruppetti di aborigeni Garo, Bormon, Koch. Il governo del Bangladesh ha firmato vari documenti internazionali che regolano l’eventuale trasferimento delle popolazioni aborigene in altre aree, l’espropriazione delle loro terre, la deforestazione. Ma ha accuratamente evitato di riconoscere che in Bangladesh ci siano gruppi aborigeni: assolutamente no, ci sono soltanto piccole minoranze non meglio identificate. Per quanto riguarda le foreste, vietato abitarci e tagliare piante. Poche settimane fa, le guardie forestali di Modhupur arrivano all’improvviso sul terreno di proprietà di una donna Garo che vi ha piantato 500 banani, e sradicano tutto, perché quella piantagione viola la legge. L’accusa precisa è che la signora è una Land Grabber. In altre parole, si sarebbe arbitrariamente impadronita della terra che il governo ha portato via a lei. È esattamente ciò che avviene in tanti altri posti, specie (ma non solo) nelle zone collinari del sud. La novità sta solo nel fatto che la proprietaria è accusata di essere Land Grabber, e il Land Grabber – che normalmente è un privato di etnia bengalese – è il governo…
A Sylhet, che da qualche anno è sede di una diocesi, accanto alla casa del Vescovo, mons. Bijoy D’Cruze, c’è un vasto terreno destinato a scuole e ostelli che il Vescovo intende costruire e avviare gradualmente. Documenti di acquisto, carte, pagamenti, timbri, verifiche… tutto rigorosamente a posto, perché tutti sanno che la terra è sempre motivo di cupidigia e contese.
Il Vescovo poi, ricordandosi che il governo vuol celebrare ecologicamente i cento anni dalla nascita del “Padre della Patria” Mujibur Rahman, facendo piantare in Bangladesh un milione di alberi, fa la sua parte, e mette a dimora 50 alberi nel suo terreno. Sarà per questo o sarà per altro, a questo punto un signorotto locale intrallazzato col partito al potere, si ricorda che tanti anni fa la terra era alberata, ed era sua, anzi del nonno (proprietario legittimo e con le carte in regola). Lo comunica al Vescovo, aspettandosi che costui – da buon cristiano – gli restituisca il maltolto con molte scuse.Ma purtroppo non succede. Allora lo aiutano a capire, andando con una banda a sradicare i cinquanta alberi. Distrutte le piante, ovviamente se ne vanno, mentre i danneggiati vanno dalla polizia – che arresta due presunti colpevoli. La notte seguente una grossa banda torna alla casa del Vescovo non per portar via i tronchi, ma per distruggere il distruggibile. Non ce la fa, perché qualcuno si sveglia prima che incomincino, avvisa, fa chiasso, arriva gente, e i rappresentanti del sedicente legittimo proprietario scappano. Una cosa è sicura: la faccenda non finisce qui. È una patata bollente che mons Bijoy D’Cruze – nel frattempo nominato arcivescovo di Dhaka -involontariamente lascia al successore, che finora non si sa chi sarà.
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