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Icona decorativaIcona decorativa26 Febbraio 2018 Silvano Zoccarato

L’iraniana che ha osato leggere i testi sacri

Nel numero 65 del mensile dell’Osservatore Romano “Donne Chiesa Mondo”,  leggiamo un servizio su Donne e islam. Elena Buia Brut scrive l’articolo Táhirih Qurratu l’Ayn: L’iraniana che ha osato leggere i testi sacri. Táhirih Qurratu l’Ayn, poetessa e teologa iraniana finisce i suoi ultimi anni di prigionia a Teheran tra il 1842 e il 1852, avendo sfidato la feroce chiusura del potere islamico politico e religioso in Persia. Sotto la dominazione di Shah Nasiru’d-Din, in un’epoca in cui le donne in Iran non hanno il diritto di imparare a leggere e scrivere, Táhirih, nata in una famiglia di eruditi mullah, osa studiare i testi sacri, discutendone in pubblico con competenza, primeggiando addirittura con coraggio sugli uomini. Il padre l’ha educata «come un ragazzo», insegnandole a leggere e a scrivere, permettendole così di accedere al Corano e di esprimere in poesie e in preghiere il suo talento artistico.(…) Táhirih Qurratu l-’Ayn, il cui nome significa la “Pura” e “Consolazione degli occhi”, diviene nel frattempo leader della fede Babi, accettando la rivelazione di Ali Muhammad di Shiraz, il Báb, divenendone, unica donna, devota seguace. La Conferenza di Badasht, del luglio 1848, vede la rottura di questo nuovo credo con l’islam, rottura fortemente voluta da Táhirih che interpreta il babismo come una religione autonoma, intenzionata a prendere le distanze dall’islam di cui riconosce il Corano ma non la sharīa: Táhirih, infatti, rifiuta innanzitutto il ruolo di sudditanza e invisibilità in cui vengono relegate le donne musulmane. Ella è «la donna che ha letto troppo», il cui accesso al sapere ha fatto maturare un’imprescindibile consapevolezza di sé: è il vessillo della libertà ottenuta attraverso una conoscenza fatta di letture, ponderazione, creatività, una libertà che l’autorità maschile non ha intenzione di concedere alle donne. (…). Le donne persiane, fino all’incirca al XX secolo, non sono state autorizzate a «lasciare traccia di sé», nessun pensiero, neanche il nome, la propria firma. Eppure, in tale “deserto”, la poetessa di Qazvin combatte l’autorità patriarcale con incrollabile fiducia, senza mai essere abbandonata dalla speranza di un cambiamento futuro; sfida lo status quo in modo spettacolare, togliendosi il velo in pubblico in un’assemblea di uomini; insegna instancabilmente a leggere, a scrivere e a pensare alle altre donne, affinché siano «autonome», dunque libere. A seguito di un tentativo fallito di uccidere lo Shah da parte di alcuni giovani fanatici babi, la madre dello Shah scatena una feroce ritorsione, che provoca l’assassinio di migliaia di persone innocenti. Táhirih, giudicata complice dell’attentato ed eretica, è imprigionata e giustiziata nell’agosto del 1852 a soli 38 anni: viene strangolata… dopo essere stata tenuta prigioniera per tre anni. Si reca all’esecuzione vestita a festa, pronunciando parole che parlano forte e chiaro anche al mondo di oggi: «Potete uccidermi quando volete, ma non potete fermare l’emancipazione delle donne».    

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