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Lo Spirito della missione di don Paolo Chiavacci

Crespano 20 agosto 2022, gioia di un ricordo storico con don Giovanni Scavezzon, primo direttore del “Centro incontri con la natura” fondato da don Paolo Chiavacci. Avevo conosciuto don Paolo nel seminario di Treviso, ma non sapevo del suo Spirito missionario. Don Giovanni mi mette in mano il libretto stampato dal Pime nel 1946, Ut omnes unum sint, il problema missionario tra i Chierici, scritto da don Paolo con tanto di imprimatur di monsignor Costante Chimenton e il nulla osta di monsignor Gioacchino Scattolon. Don Giovanni mi dà anche un bel calendario 2022 dove vedo il centro, com’era nel 1972. Mi dice che la prima incaricata di gestirlo era stata Maria Bianchin, sorella del missionario del Pime, padre Mirko Bianchin. Don Paolo e padre Mirko assistevano gli sfollati dei bombardamenti alle Caserme di Dosson fino al 1949 e in quella amicizia – penso – hanno alimentato lo Spirito del servizio e della missione. Il libretto porta anche in copertina questa intestazione: Don Paolo Chiavacci, Gruppo missionario dei Chierici del seminario di Treviso. Bastano questi elementi per rivelare come era vissuto lo Spirito missionario nel seminario e nella diocesi di Treviso, da dove partirono tanti missionari per tutto il mondo.    Il libretto di 71 pagine è un piccolo corso missionario, forse un testo di Esercizi Spirituali.   Leggo a pag. 22/23: È un dovere di giustizia. Molteplice. Assoluto anche se non sempre precisato o precisabile. Evidente anche se non sempre praticamente determinato. Per noi più che per ogni altro. Creature: dobbiamo glorificare il Creatore: ma come? A tutti portando la sua voce, il suo Verbo, a tutti cantando le sue lodi, rendendo tutti partecipi dei frutti della Redenzione e dell’amore, «affinché – come vuole lo Spirito Santo – il Padre sia glorificato nel Figlio». Uomini: abbiamo il dovere sociale di cooperare a che tutta l’umana società, non tanto nel suo insieme, quanto nei singoli individui che la compongono, si orienti al suo vero e unico fine. Cristiani: dobbiamo essere riconoscenti a Dio che ci ha elargita la fede: «Per la fede che ci ha donato cooperiamo a dar la fede ad altre anime». Cattolici: dobbiamo vivere e sentire con la Chiesa nell’universalità dei suoi interessi ovunque estesi. Val di più – io penso – un missionario nel centro dell’Africa che una nuova chiesa, non necessaria, al mio Paese. Sudditi devoti della Cattedra romana: a noi fu rivolto il comando del Papa: «È il sacerdozio cui spetta per primo diffondere in mezzo ai fedeli la conoscenza del problema missionario e accendere nei cuori l’amore». Ma se noi siamo nel buio e siamo freddi, come potremmo illuminare e riscaldare? Figli della Chiesa: mentre il nostro fratello missionario generosamente tutto si dona per la vita e la gloria della tenerissima Madre comune, come potremo rimanercene noi inoperosi nelle comodità, quasi parassiti di tanta abnegazione? Ministri di verità: noi pure riceveremo la missione: «Andate, ammaestrate tutte le genti». Tutte. Leggendo, mi rivedo don Paolo, lo risento, deciso concreto appassionato. Dal seminario di Treviso, con un tale clima missionario, era già partito il Ven. Bernardo Sartori. In quegli anni ’46 e seguenti, ricordo che ero in seminario con don Angelo Santinon, i ‘prefetti’ don Luigi Cecchin, don Merlo. Poi si aggiunsero don Mario Bortoletto e altri ancora. Tutti partiti, accompagnati sempre da don Antonio Marangon e seguiti e sostenuti dalla diocesi di Treviso missionaria.  

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