Mare Mosso
E’ trascorso un mese dal mio arrivo in Bangladesh. Sapevo che dallo scorso luglio la vita di questo grande paese con oltre 170 milioni di abitanti era stata profondamente sconvolta. Qualche giornale italiano (anche “autorevole”, come si dice) aveva informato che c’era stato un “colpo di stato militare”.
Non è vero. Non si trattava di militari, ma di una sommossa gigantesca, promossa da un movimento di “studenti contro la discriminazione” che ha coinvolto anche altri settori della società in nome della liberazione da una “dittatura” di fatto – nonostante si fossero tenute – formalmente – le elezioni volute dalla costituzione democratica. La primo ministro Sehikh Hasina, figlia del “Padre della Patria” Mujibur Rahman, che aveva portato il Bangladesh a staccarsi dal Pakistan e ottenere l’indipendenza, è fuggita in elicottero insieme alla sorella, mentre la sua sede veniva saccheggiata, e il palazzo del parlamento assediato dai dimostranti.
Pare che, nel periodo più acuto delle proteste, almeno 986 dimostranti siano stati uccisi, il 77% con armi da fuoco, gli altri in linciaggi o incendi. All’inizio si dava ogni responsabilità alla polizia, ora si ammette che anche i conflitti fra gruppi diversi di studenti siano corresponsabili della carneficina. Impossibile contare quanti siano stati vittime di vendette personali o di gruppi, o quanti semplicemente abbiano colto l’occasione per atti di puro sciacallaggio. Sono state incendiate fabbriche, uffici, abitazioni private di membri del partito Awami League (al potere da tre turni di votazioni), o di gruppi considerati sostenitori di Hasina – a cominciare dagli Hindu e includendo le altre minoranze etniche e religiose. Moltissimi membri dell’Awami League sono fuggiti e sono tuttora “alla macchia”: parlamentari, ministri, imprenditori, funzionari civili… varie stazioni di polizia sono state incendiate; la polizia ha scioperato per alcuni giorni, non pochi poliziotti sono fuggiti. Si dice che l’esercito, chiamato ad attivarsi per reprimere le rivolte, si sia rifiutato di farlo. Fino ad oggi appare defilato: comunica ufficialmente con il “Consiglio”, che in qualche modo ha raccolto i poteri del governo, ma non si coinvolge; ufficiali di alto grado si sono recati negli Stati Uniti, probabilmente per assicurare le autorità dell’ONU che non intendono creare un regime militare.
La responsabilità di governo è in qualche modo passata ad un “Consiglio” presieduto da Muhammad Junus, scelto e insediato dal “comitato studentesco contro la discriminazione”, che bene o male guidava le rivolte. Junus è un personaggio noto per aver ricevuto anni fa il Premio Nobel per la Pace, in quanto fondatore della così detta “Banca dei poveri”. Prestigioso all’estero, Junus era stato pesantemente criticato e osteggiato dalla ex Primo Ministro e da altri, con l’accusa che la sua banca non aveva aiutato i poveri, ma ne aveva succhiato il sangue… Del Consiglio fanno parte anche tre studenti, confermando l’impressione che essere studenti universitari sia oggi una specie di etichetta di genuinità che garantisce da sé. Curioso il fatto che sia stato deciso di assumere un certo numero di studenti e studentesse anche per affiancare i vigili urbani nel loro servizio sulle strade, in un certo senso per garantirne l’impegno e la genuinità… Può capitare di vedere, agli incroci stradali di Dhaka – un vigile assistito da una liceale con il grembiule bianco della scuola…
L’euforia di chi ha vinto è stata seguita da una raffica di denunce alla magistratura, spesso con “casi” di fantasia costruiti per mettere nei guai anche gruppi con centinaia di persone; richieste presentate con la firma di altre centinaia di persone che non sapevano di che cosa si trattasse, se non che la denuncia avrebbe “dato una lezione” a quelli del regime abbattuto. Si respira aria di giustizialismo, o di “vendetta”, e nel momento stesso in cui ci si rallegra perché finalmente si può dire ciò che si pensa, si minaccia di castigare pesantemente i giornalisti che hanno sostenuto idee “fasciste”.
E’ evidente che gli imprenditori non sono a proprio agio in questa situazione; non pochi stranieri decidono di chiudere bottega e andarsene.
A complicare il tutto c’è anche una “gaffe” del Presidente della repubblica, che ovviamente aveva ricevuto l’incarico con l’appoggio di Hasina: quando la primo ministro rischiava il linciaggio, il Presidente – probabilmente per permetterle di fuggire – dichiarò che Hasina aveva presentato le dimissioni, e che lui le aveva accettate. Sono ancora ben visibili, lungo il muro che circonda la residenza del primo ministro, le numerose “brecce” attraverso cui gli assedianti entrarono proprio mentre l’elicottero si alzava in volo. Pochi giorni fa però, il Presidente ha detto che non ha in mano la lettera di dimissioni: “Forse la primo ministro non ha fatto in tempo a scriverla…”. Immediata la reazione: il Presidente dice bugie: è una marionetta di Hasina, è un incapace e va rimosso…
Rimosso… e poi? C’è chi – più addentro in questioni del genere – si chiede con preoccupazione: “Se si crea anche questo “vuoto istituzionale”, poi come ci muoviamo?”. E’ la posizione che sembra tenere il “Consiglio” che fa da governo, e anche il BNP (Bangladesh National Party), il maggior partito di opposizione, mentre l’ala più vicina agli studenti vorrebbe far piazza pulita di tutto e ricominciare da zero…
Molti studenti sembrano aver preso gusto a dettar legge con ultimatum radicali: via il presidente entro due giorni; decisione sulla data delle nuove elezioni entro una settimana; rimozione immediata di tutti i funzionari della vecchia guardia o di tutti coloro che hanno avuto il posto di lavoro appoggiati dal regime sconfitto – compresi i medici… e così via.
Il “posto di lavoro” è un punto dolente, la scintilla che ha dato origine alla rivolta. La prima mossa era stata di Hasina, che aveva deciso di confermare per un’altra generazione un’abbondante “quota” di impieghi statali da riservare a coloro che avevano collaborato alla guerra di liberazione dal Pakistan (1971). Gli studenti avevano protestato e Hasina aveva detto con arroganza: “Volete forse riservare i posti per i figli dei “rajakar?” (i ”collaborazionisti” che si schierarono con l’esercito pakistano): una frase per cui probabilmente oggi si morde la lingua, perché ha fatto aumentare la rabbia degli oppositori, che si sono infuriati…
Si parla anche di cambiare la Costituzione, e ognuno propone i cambiamenti che ritiene più utili e importanti; ma non si vede, per ora, un progetto organico alternativo…
Incominciano a emergere anche osservazioni pacate: per quanto si può andare avanti con “ultimatum” degli studenti, con pretese di avere subito e senza discussioni… tutto ciò che viene in mente?
Il “Consiglio”, appoggiato da molti, ha sostenuto che occorre provvedere ad alcuni cambiamenti importanti, compresa la revisione della Commissione Elettorale, prima di organizzare le elezioni, e ha ipotizzato che possano forse essere realizzate entro la fine del prossimo anno. Ma molti temono che si tratti di una scusa per manipolarle, e sostengono che cambiamenti di rilievo devono essere opera di un governo vero e proprio, non di un “consiglio” senza chiara identità.
Fra le decisioni prese in questa situazione anomala e incerta, c’è anche quella di bandire la “Chattro League”(Lega degli Studenti), partito giovanile che poi divenne praticamente il movimento giovanile del Partito Awami League, e subito dopo anche il partito stesso è stato dichiarato fuori legge e dissolto: un pezzo di storia che scompare… Ma – a dimostrazione di quanto la situazione sia fluida – pochi giorni dopo, il decreto di dissoluzione – emanato in seguito a pressioni “degli” studenti, venne ritirato, perché il Comitato contro la discriminazione fece sapere che si trattava di tre studenti soltanto, e che gli altri non erano stati coinvolti: ne discuteranno e faranno sapere.
Anche il tema della storia è rovente, e oscillante. Hasina aveva puntato tutto sulla figura di suo Padre, cercando di farne un mito e un punto di riferimento per tutti. Ma nella rabbia della rivolta statue, immagini, memorie del “Padre della Patria” sono stati profanati e distrutti. Lo stesso Primo Consigliere ha detto in un discorso che si deve ripartire daccapo, cancellando il passato e riscrivendo tutta la storia. In un successivo intervento però ha precisato che intendeva riferirsi al periodo di Hasina, non alla “gloriosa” storia che l’ha preceduta e che va invece conosciuta e valorizzata. Non mi risulta che qualcuno abbia proposto seriamente di ritornare a far parte del Pakistan, o addirittura dell’India. Ma alcune scelte o dichiarazioni dei rivoluzionari hanno creato tensioni con l’India, che ha reagito chiudendo in parte le frontiere.
Secondo il mio parere, la “Chattro League” è stato uno dei motivi che più ha contribuito a fomentare la rabbia accumulata nelle università, e non soltanto: si comportavano con incredibile arroganza arraffando tutto, usando violenza e crudeltà per imporsi. Non saprei dire se Hasina non li ha moderati perché non ne aveva la forza, o perché pensava di guadagnarci. Su di loro si è sfogata (e temo che ancora si sfogherà) molta rabbia degli altri studenti… Altre ragioni di tanta rabbia? Arresti e spesso “scomparsa” di numerosi avversari politici, corruzione sfacciata e dilagante, restrizioni sulla libertà di parola e opinione… Nei confronti del radicalismo islamico Hasina è stata molto dura, ma ha anche fatto gesti di appoggio, come la costruzione e il dono di oltre 200 moschee per festeggiare i 50 anni di indipendenza, e per cercare di favorire la crescita di un Islam moderato con cui collaborare (in proposito, vedi “Schegge di Bengala” – Moschee 1 e 2, luglio/agosto 2021). Dopo la rivolta, il partito islamico Jamaat-ul-Islam, che era stato bandito in quanto “religioso”, è stato pienamente riammesso, e ciò preoccupa le minoranze religiose. Il Jamaat ovviamente desidera dare più spazio anche politico all’Islam, ma bisogna riconoscere che finora le proposte non sono state radicali; in una recente intervista il suo Segretario Generale è stato una delle poche voci che chiedono esplicitamente di rinunciare alle vendette e cercare la conciliazione. Un particolare “di costume”: è aumentato molto, anche in città, il numero delle donne velate – pure giovani o giovanissime.
Siamo in una condizione di fragilità, equilibrio instabile, semi-anarchia. Di grande incertezza, insomma, e la domanda ovvia: “Come ne usciremo, e dove andremo a finire?” non trova risposta fondata: mare mosso, vento che può cambiare, la spiaggia di approdo non si vede: colpa della nebbia, o perché l’approdo è davvero molto lontano?
Il Bangladesh ha già superato tante prove – supererà anche questa.
Franco Cagnasso
Dhaka, 30 ottobre 2024
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