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Messa a Ntem-asi

Padre Mario Bortoletto, ora in cielo, nel 2005 mi aveva mostrato in piena foresta una spianata con una scuoletta in legno. Oggi c’è la chiesa, il presbiterio, una grande sala, il terreno per i giochi e nel sotterraneo sale per riunioni. Sostituisco il parroco, padre Sliva, di nazionalità indiana. Arrivando qualche minuto prima delle sei, trovo fedeli alla recita delle lodi. Tutto ben preparato. I chierichetti/e belli, con la tonaca ben pulita, l’altare in ordine, illuminato. Posso incominciare la celebrazione. Certo non siamo nella foresta di Ambam o di Meko’si dove trovavamo le cappelle col tetto di paglia e il pavimento di terra. Il gradino dell’altare era tenuto insieme da bottiglie  capovolte di Pedro, liquore spagnolo. Il Pedro che si comprava in Guinea Equatoriale, cioè al confine vicino, diventava lo ntolo, latassa di culto che i cristiani, formati dal prete locale, offrivano una volta l’anno.

È bella ora la chiesa di Ntem-assi, illuminata, pulita, con pavimento a piastrelle di vario colore, lucide. A fianco dell’altare, il pulpito, come due mani che tengono il libro sacro, e il battistero, vasca di pietra ben ornata con l’acqua battesimale. Ma la meraviglia sono loro, i fedeli che vanno a pregare prima di andare al lavoro, si organizzano, assumono impegni comunitari, oggi meglio vestiti e tutti partecipanti ai canti, alle danze, alle preghiere.

Fosse vivo oggi padre Mario, freddo esteriormente come sempre, e con il suo solito sorriso ironico, direbbe: «Sì, bello, ma il cuore com’è?». Certo non tutto è santo, ma l’impressione che ne ricavi a distanza di cinquant’anni, è intensa. Dai missionari e dai sacerdoti locali, ormai in tutto il Camerun non fai che sentire: «Quanto lavoro, ancora! Quanto lavoro…».

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