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Icona decorativaIcona decorativa22 Luglio 2022 Franco Cagnasso

Mim

Le persone che hanno qualche forma rilevante di disabilità, in Bangladesh sono spesso guardate con curiosità, sospetto, a volte disprezzo; vengono evitate, isolate, anche perché sono considerate prive di prospettive, essendo vittime di un “destino” che è soltanto da accettare o subire, e su cui c’è poco da dire, fare, imparare, rimediare. Non è raro che si cerchino “colpe” a cui far risalire la disabilità di un bambino, e quasi sempre la “colpevole” è la madre. Nascondere un familiare disabile è a volte l’unica dolorosa risposta ad una situazione di cui ci si vergogna. Ho brevemente messo in evidenza tutto questo quando ho presentato il “Progetto Joyjoy”, una piccola iniziativa di alcuni missionari del PIME, che intende aiutare una quarantina di bambini con disabilità mentali, con le loro mamme e lo loro famiglie, nella zona di Dinajpur. I pazienti e coraggiosi lettori delle “Schegge di Bengala” sanno che il progetto è stato approvato e avviato; non solo, ma si è concesso pure l’onore di una data per l’apertura ufficiale: 22 luglio. Joyjoy dunque tenta di intervenire in un quadro piuttosto fosco, con persone che non sanno come gestire un problema a cui non sono assolutamente preparate. Tutto vero, è proprio così. Ma… Ma c’è anche ciò che ho letto in una bella lettera di Naomi Iwamoto – la missionaria laica giapponese che è il “motore” quotidiano” di tutta l’iniziativa Joyjoy. Questa “scheggia” è partita dalla sua esperienza e dal suo racconto; ne è una traduzione con adattamento, aiutata da alcune fotografie, che la rendono più immediata e comprensibile. “Mimè una bimba di circa 12 anni, incontrata in una delle mie “peregrinazioni” per conoscere, “agganciare”, e stabilire un rapporto con bambine e bambini intellettualmente disabili, a Dinajpur e dintorni. Il papà di Mim lavora tutti i giorni della settimana da mattina a sera, come autotrasportatore, perché possiede un pesante carretto con due ruote piuttosto alte. Non importa se piove, fa caldo, freddo, c’è traffico, è già notte… carica ciò che gli affidano: sacchi di riso, mobili, legname, sabbia, capre, calce, concimi, studenti, canna da zucchero, cotone, ammalati, paglia di riso per le mucche… e parte. E poiché qui “autotrasportatore” non significa che trasporta con un’auto, ma che “trasporta da sé”, afferra saldamente le stanghe e trascina il carretto fino a destinazione, scarica, e riparte. Mestiere duro, ripagato da un guadagno mensile medio di 4 o 5 mila taka (40 o 50 euro), del tutto insufficienti per mantenere la famiglia con moglie e tre figli. La mamma di Mim ha molto a cuore la figlia disabile. Tra l’altro, mi ha detto che la bimba ha occasionali crisi respiratorie, che richiedono urgente intervento medico. Fino a qualche tempo fa era lei che la prendeva in braccio per portarla di corsa da un medico vicino. Ma ora lei stessa soffre di forti dolori di schiena e non può più farlo, perciò a queste emergenze provvede la nonna, che vive non lontano e aiuta molto; con qualche difficoltà perché pure lei lavora, come domestica in una famiglia. Il papà di Mim, oltre a trainare il carretto tutto il giorno, si è assunto un compito speciale: provvede ai pannolini “usa e getta” per Mim: ogni due giorni è lui che va a comprarli al prezzo di 100 taka, perché non manchino mai. Sua moglie si è confidata con me, dicendo con tenerezza: “Il papà di Mim sa che i pannolini sono necessari, e non si lamenta: pensa che questo sia compito suo, e lo fa – pur sapendo che per questo motivo non riesce a pagare le spese scolastiche del figlio maggiore; potrà magari dimenticare altre cose utili ma questa no, non la tralascia mai.” Mentre lei parlava, mi chiedevo come faccia la famiglia ad andare avanti spendendo 1500 taka al mese, cioè poco meno di un terzo dei sudati (parola in questo caso appropriatissima) guadagni, solo per i pannolini. La cosa mi metteva a disagio, e alla fine ho chiesto se sapeva che si possono comprare i “diaper cover” (Nota editoriale: non so come si traduca, e non me ne intendo, ma so che si tratta di una specie di “copri-pannolini” in tessuto parzialmente elastico, che permetterebbe di utilizzare all’interno stoffa lavabile e ri-usabile, anziché comprare ogni volta tutto nuovo). La mamma rispose subito di sì: “Certo, so che esistono, ma so anche che costano troppo per noi, e bisogna farli arrivare da lontano…”. Non potevo darle torto: parecchi anni fa li avevo cercati, e avevo anche proposto al proprietario di una fabbrica di abiti di produrne un certo numero, però mi aveva risposto che il materiale necessario era troppo costoso e difficile da trovare – e avevo dovuto rinunciare alla bella idea. E il figlio maggiore? Anche lui fa la sua parte: lavora come aiutante in un negozio di abiti e guadagna qualche cosa che consegna in casa, dopo aver detratto quanto serve per continuare a studiare a livello di liceo. Un giorno mi trovavo a casa di Mim nel primo pomeriggio, e proprio allora lo vidi rientrare per il pranzo, dopo una mattinata di lavoro. Così, fortuitamente, assistetti ad una scena proprio bella: appena Mim vede suo fratello lancia un gridolino, fa un gran sorriso e tende le braccia verso di lui, che senza esitare la prende in braccio con gioia, accarezzandola con tenerezza: un “rituale” che certamente entrambi gustano ogni giorno. A quel punto il giovane si accorse che ero presente e, tenendo in braccio Mim, mi disse con fierezza: “Mi sono preso cura di lei fin da quando era piccolissima.” La mamma, orgogliosa, confermava ridendo… Così finisce il racconto di Naomi, che poi aggiunge una nota: un po’ di tempo dopo, Joyjoy provvide a ciò che occorreva per Mim, e adesso siamo noi – ideatori e realizzatori di Joyjoy – a sorridere con fierezza… Franco Cagnasso 22 luglio 2022 Giorno ufficiale dell’inizio di Joyjoy Mim Mim e famiglia Mim e mamma Mim e fratello maggiore

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