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Moschee – 2

Il contesto in cui si collocano le affermazioni fatte dalla Primo Ministro il 10 giugno scorso, in occasione dell’inaugurazione di 50 moschee “modello” finanziate dallo stato, è quello di una massiccia maggioranza islamica, di quasi il 90%, cioè circa 150 milioni di persone. Non si tratta però di un blocco unico e compatto. A parte alcuni gruppi che l’Islam sunnita considera “eretici” (come gli sciiti, l’Ahmadia, vittima di periodici attacchi, e altri), ci sono rumorose e pericolose frange violente orientate al terrorismo, che vogliono imporre varie forme di “Stato Islamico”. Nei loro confronti, dal 2016 il governo ha agito con grande fermezza, mettendo al bando partiti e movimenti estremisti e dando efficacemente la caccia ai loro membri in clandestinità. Fa loro da contrappeso un’altra frangia, piuttosto varia, che – a volte rischiando – critica l’Islam tradizionale mal sopportandone le discordanze con la mentalità moderna; o musulmani di cultura e nome, ma di fatto non praticanti, indifferenti, e agnostici o atei, anche se raramente si definiscono tali. Frange a parte, la grande maggioranza dei fedeli musulmani può essere distinta, con tante sfumature, fra i fedeli di orientamento spiritualista (influenze sufi), e quelli che aderiscono a un Islam dogmatico e tradizionale che unisce religione e politica, e che in questi anni è stato attivamente proposto e sostenuto dall’Arabia Saudita che finanzia scuole, corsi, visite. L’area “spirituale” sembra stia perdendo terreno, mentre a sostenere l’area “fondamentalista” s’è fatto avanti in questi ultimi anni il movimento “Salvare l’Islam”: dichiara di non perseguire il potere politico, ma esige che si introducano leggi rigidamente fedeli alla Sharia; si contrappone con efficacia, anche sulle piazze, a movimenti “progressisti” o laici, e sa infiltrarsi negli organismi statali per influenzarli. Dopo i primi violentissimi scontri di piazza, con cui il movimento aveva reagito a movimenti studenteschi giudicati atei e anti islamici, il governo aveva scelto il compromesso, concedendo a“ Salviamo l’Islam” completa autonomia nella gestione delle migliaia di scuole coraniche che possiede, dando ai loro diplomi equipollenza con quelli governativi, accettando consistenti ritocchi ai testi scolastici ufficiali (dove ogni riferimento a scrittori, pensatori, personaggi positivi ma non islamici è stato eliminato), ritoccando leggi secondo le indicazioni del movimento o bloccandone altre non gradite. Ne è seguito un periodo di “luna di miele”, nonostante che questa scelta avesse irritato da un lato membri di “Salviamo l’Islam” dall’altro membri del partito di governo, che non gradivano questa alleanza molto improbabile. Alla morte dell’anziano fondatore (2020), è seguito un periodo di lotte interne, e vari elementi di partiti radicali fuori legge sono entrati nello “stato maggiore” del movimento. Il cambiamento è diventato evidente nel marzo scorso, quando il Primo Ministro indiano Modi è venuto in visita per celebrare l’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan islamico, ottenuta 50 anni fa anche grazie ad un decisivo intervento indiano. Contro Modi e contro la sua politica considerata anti islamica, sono scoppiate proteste violentissime animate da “Salviamo l’Islam”, con distruzioni e vittime. Dopo una prima reazione sconcertata, che sembrava voler ignorare chi fosse all’origine di queste ribellioni, il governo ha scelto la linea dura. In poche settimane ha incarcerato i più radicali, sia per i fatti recenti, sia rispolverando accuse e denunce pendenti da anni, e ha sfasciato la struttura direttiva del movimento per ricomporla con uomini di proprio gradimento. Il discorso di inaugurazione delle moschee – che mi pare una sintesi dell’apologetica islamica moderata – permette di intuire la linea politica che ora si persegue: contenere l’estremismo violento e terrorista senza riproporre la “laicità”, sempre sospetta di essere nemica dell’Islam, e d’altra parte senza patteggiare con le forze fondamentaliste; piuttosto, affermare che l’Islam, in quanto maggioranza, ha diritto a una posizione di privilegio, ma deve trattarsi del “vero Islam”, che sta lontano da un fondamentalismo privo di aperture verso concezioni moderne della società. Hasina non promuove reinterpretazioni del testo sacro, né invita ad abbandonare le tradizioni islamiche. Semplicemente dà per scontato e afferma che l’Islam “autentico” già contiene in sé gli elementi che occorrono per accettare, anzi favorire e proporre alcune riforme. Per questo auspica che le nuove moschee contribuiranno a ridurre, ad esempio, il matrimonio dei minori, il costume che la donna paghi la dote, la droga, la violenza sulle donne, e aiuteranno a tenere le nuove generazioni lontane dalla “militanza” che “deturpa l’immagine dell’Islam”. L’Islam è la religione migliore del mondo – afferma Sheikh Hasina – ed è riprovevole che “un gruppetto di persone, creando la militanza, ne abbia diffuso un’immagine negativa che contrasta con la santità della nostra religione.” La primo Ministro ha aggiunto che l’Islam “è la religione più tollerante al mondo, perché permette a tutti di godere dei propri diritti e insegna a trattare tutti come esseri umani.” Non è mancato un riferimento alla “gloriosa storia dei Musulmani nel campo della conoscenza e della scienza: in passato la comunità musulmana era progressista, in ogni campo della conoscenza. Allora perché i Musulmani oggi sono arretrati?” Grazie a queste moschee modello non solo si propagherà l’essenza dell’Islam e delle sue pratiche, ma “il Bangladesh potrà contribuire in modo sostanziale alla predicazione e alla diffusione della nostra santa religione.” Dunque, se ho ben capito, non si ripropone un compromesso con l’Islam radicale, né una “laicità” che volesse essere “neutrale”; si cerca appoggio ad alcune scelte “progressiste” perseguendo una via che non separa stato e religione, ma li integra – alle proprie condizioni.

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