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Icona decorativaIcona decorativa25 Dicembre 2018 Silvano Zoccarato

Natale in Camerun

Dopo cinquant’anni dal mio primo arrivo in Camerun, rimetto piede in luoghi di foresta, savana e città, con momenti di grande gioia e momenti di sofferenza. Alcune strade sono oggi una vera via crucis. Alcune sono migliorate superficialmente solo prima di una elezione. Ma la sera, nonostante tutto, la città di Yaoundé è piena di vitalità e in questi giorni natalizi è uno splendore e un concerto. Macchine e moto sfrecciano impolverando persone e ogni sorta di frutta, verdura, vestiti e oggetti esposti ai lati delle strade diventate un unico mercato. Visitando alcune zone del Nord ho osservato i terreni lavorati per il miglio, già con le spighe, il cotone e le cipolle. Meraviglie della natura, dopo due anni di siccità e di carestia, e ricordo le parole che il cardinale Christian Tumi pronunciò negli anni Ottanta, arrivando da Bamenda al Nord: «Il Camerun non è povero». Perché allora la miseria di alcuni? Risponde ancora il cardinale: «Perché, dentro un tribalismo persistente, c’è poco senso del bene comune, poco spirito di responsabilità in ogni incaricato a un servizio, continua corruzione e assenza di giustizia». Al Nord, una suora italiana rimasta dopo la bufera dei terroristi di Boko Haram, mostra la sua sofferenza nel descrivere una Chiesa che nel 2015 ha visto partire molti missionari stranieri e assistere al rapimento di tre. La comunione di vita di missionari stranieri con sacerdoti e religiosi locali manteneva la Chiesa in buona vitalità. Oggi si sente un vuoto che sarà certamente colmato, ma lentamente e con un aumentato impegno di docilità e fedeltà allo Spirito Santo. Non è una novità per la Chiesa attraversare momenti difficili e poi risorgere rinnovata. I missionari del Pime sono rimasti e devono accettare di avere in casa i militari e di viaggiare sempre scortati. Come lo sono stato pure io nei miei viaggi. A Mouda, dove padre Danilo incominciò anni fa ad accogliere i bambini abbandonati o che strisciavano per terra, ora c’è un vero villaggio chiamato Fondation Bethléem, dove lavorano 184 salariati nei diversi settori di assistenza sanitaria, formazione e lavoro tecnico e artistico. Un migliaio di persone ci vivono, tra cui 60 bambini accolti dopo la morte delle loro mamme. Ne arrivano frequentemente. Poi ci sono classi di alunni di formazione tecnica, di sordomuti, e così via. Nel dispensario, ci sono malati di vario  genere, compresi alcuni militari feriti fisicamente e psicologicamente in scontri con Boko Haram. Il Centro oggi è diretto in collaborazione con gli Operai Silenziosi della Croce, congregazione italiana dedita all’assistenza sanitaria e alla promozione umana integrale. Suor Rosa che vigila su tutto, soprattutto sui bambini, non fa che dire: «Il Centro è un miracolo, qui c’è Dio». Quante cose ho notato in un quaderno. Le scriverò poco alla volta. Termino dicendo che la più forte emozione è stata di poter pregare in savana sulla tomba, ben curata, di un catechista ucciso a causa della stregoneria. Lo considero un santo martire e ne ho parlato anche al vescovo della diocesi di Yagoua.

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