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Nutrire lo spirito di povertà

Il santo Giovanni Paolo Il nella Redemptoris Missio scrive: “Il missionario è l’uomo delle beatitudini. Gesù istruisce i Dodici prima di mandarli a evangelizzare, indicando loro le vie della missione: povertà, mitezza, accettazione delle sofferenze e persecuzioni, desiderio di giustizia e di pace, carità, cioè proprio le beatitudini, attuate nella vita apostolica”. (Mt 5,1) Ouando p. Carlo Salerio, uno dei primissimi e dei più giovani dell’lstituto delle Missioni Estere di Milano, ormai giunto a Sidney si preparava a raggiungere il posto di missione assegnatogli, non voleva  portarsi dietro tante cose perché  diceva:  « Questa  è contro il nostro sentimento…; la moltitudine degli oggetti dona sollecitudine ed eccita la cupidigia degli indigeni …, E aggiungeva: « Le missioni de centro e quelle della Nuova Zelanda iniziate nella miseria e lasciate sprovviste di tutto per cinque anni, fioriscono; questa della Melanesia, condotta con tutte le viste di umana prudenza, in nove anni non ha ancora data nessuna cristianità… E concludeva: «Per noi sarà fervore giovanile, ma preferiamo la povertà». E queste erano le prime regole del nostro lstituto circa la povertà: «Nutriamo lo spirito di povertà, spogliandoci delle abitudini inutili o nocive e degli oggetti superflui, vivendo parcamente, facendo economia del tempo e delle case…, riflettendo con qual delicato riguardo si debba impiegare l’obolo del povero e l ‘elemosina raccolta dalla Propagazione della Fede e dalla Santa lnfanzia che mantengono l’lstituto e le Missioni».   Tra i nostri missionari, alcuni sono rimasti proverbiali per la loro povertà. Così scriveva p. Carlo Merlo nel 1955 dall’lndia: «Dopo tanti anni di lontananza, sarebbe ora di rivederci; io però, a dirti la verità, non mi sento; se venissi, dovrei prima pensarci su sei mesi!… Stando tra questa gente, ho imparato a vivere come loro, che si trovano all’ultimo o al penultimo gradino delle caste indiane. Sono già tre o quattro anni che non uso più scarpe, ed una decina di anni che non uso le calze. Figurati a Busto Arsizio un prete senza calze, ne scarpe!» E nell’ultima lettera ai familiari, un anno dopo, si leggono queste parole: «Cerco di ridurre i miei bisogni al minimo. Tengo una copertina leggera che uso 5-6 volte l’anno. Anche le lenzuola sono 15 anni che non mi servono. Mons. Macchi, passato alla storia come ii «Patriarca del Bengala», negli anni ’40 parlava della povertà in questi termini: «Se noi missionari siamo i “messi di Gesù “, dobbiamo presentarci ai pagani non soltanto come sapientoni, e neppure come i grandi “sahib “, quali sembrano davanti alla povera gente, ma dobbiamo presentarci poveri come essi sono, tanto meglio se con ii potere di fare miracoli sui loro corpi spesso piagati».  

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