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Icona decorativaIcona decorativa15 Settembre 2022 Silvano Zoccarato

Padre Carlo Menapace

Nato nel 1942 a Tassullo (Trento), iniziò la formazione nell’Istituto nel 1962 e fu ammesso al Giuramento nel 1967. Fu ordinato Presbitero nel 1968 e partì per il Bangladesh (Dinajpur) nel 1978. Moriva il 01.06.1991 a Cles (Trento). La missione di Mariampur è legata al ricordo di un caro amico, p. Carlo Menapace. Ricordarlo è sempre un piacere, direi un incoraggiamento, anche se venato di nostalgia. Era nato nel 1942, un anno prima di me, a Tassullo (Trento), e mi aveva preceduto di un anno nel diventare membro del PIME (1967), nell’essere ordinato prete (1968), nel partire per il Bangladesh (1978). Mariampur è stata la sua prima e unica missione, all’inizio come assistente, e poi come parroco. Negli anni in cui cercavamo “vie nuove” e guardavamo con sospetto la “struttura” della parrocchia, sospettata di essere chiusa su sé stessa e di sottrarre energie alla prima evangelizzazione, lui si era tuffato senza distrazioni proprio in quella “struttura”, ma fu capace di non lasciarsene paralizzare. Anzi… Ci vedevamo in occasione di incontri o ritiri spirituali del PIME, arricchendo di chiacchierate tutti gli spazi di tempo possibili. Sapeva cogliere nella gente gli aspetti buoni e positivi che molti non vedono o cui non danno valore. “Ingenuità”, diceva qualcuno, ma si trattava dello sguardo di un uomo dal cuore puro, appassionato del Vangelo, e perciò degli altri… tutti. Andai a trovarlo in parrocchia in un periodo in cui era solo, penso poco dopo il 1981. Trascorsi con lui tre giorni, aiutandolo a tenere un incontro con i catechisti, ascoltandolo molto. Era appassionato di ciò che faceva, soprattutto del “suo” popolo, che erano i membri della parrocchia, certo, ma non soltanto loro. Mentre passeggiavamo fra la casa e la chiesa (costruita anni prima, sul modello di non ricordo quale chiesa lombarda) passò accanto a noi un ragazzo; Carlo lo chiamò, e scambiammo quattro parole; era un po’ imbarazzato ma contento della nostra attenzione. Mentre se ne andava, p. Carlo mi chiese: “Secondo te, quanti anni ha?”. “Difficile dirlo – risposi – 12 o 13?”. “Ne ha certamente più di 20, ma è come un… bonsai: la denutrizione gli ha impedito di svilupparsi. Sono parecchi i giovani nelle sue condizioni. Che lavoro può fare? Certo non il manovale, ma a scuola non è potuto andare, e anche lo sviluppo dell’intelligenza è stato rallentato. Vorrei inventare qualche cosa per questi “figli della fame” … Ancora oggi, a Mariampur, c’è una piccola scuola tecnica, che dopo qualche anno di chiusura il Vescovo mons. Sebastian ha voluto riaprire. Insegna a ragazzi che non hanno altre possibilità i rudimenti di qualche attività utile: riparare una bicicletta o un riksciò, per i più bravi magari dare un’occhiata ad una pompa idraulica difettosa.
  1. Carlo aveva idee, era capace di organizzare e avviare iniziative: non fece grandi progetti, ma “piccole” cose che erano ritagliate apposta per i bisogni del momento; fra l’altro anche un impianto di biogas, forse il primo della zona.
Non è raro trovare persone di Marianpur che dicono con fierezza di essere stati suoi “discepoli” (e fra loro anche mons. Sebastian), o di aver sentito parlare di lui dai genitori, e io mi sono chiesto quale fosse il centro del suo interesse, e quale il motivo della sua popolarità. Il suo obiettivo fondamentale era accompagnare la sua gente alla preghiera, a un rapporto vivo con Gesù scoperto nei Vangeli. Ogni giorno una frase del Vangelo, una parola di commento, una breve preghiera ripetuta perché “entrasse” nella mente e nel cuore, o una ripresa della liturgia domenicale, o una riflessione su qualcosa che era accaduto. Era contento di pregare con loro: la preghiera non era un dovere, o qualcosa da insegnare, era un momento di incontro con Gesù insieme a loro. P. Carlo, senza ostentazione, sapeva trasmettere la fede con cui lui stesso cercava il Maestro. Vedeva e valorizzava i progressi anche minimi della sua gente: una riconciliazione, una collaborazione, un aiuto, un consiglio… Stava anche preparando un sottocentro della vastissima parrocchia che era affidata a lui, per sistemarvi un gruppetto di laiche animate a dedicarsi all’evangelizzazione; già collaborava bene con le Suore di Maria Bambina, e vedeva in questa iniziativa una possibilità in più di valorizzare le donne nella missione della Chiesa. Poi… gli diagnosticarono un tumore maligno, e dovette ritornare in Italia. Con fatica volle rivedere uno per uno tutti i “suoi villaggi”, spiegando perché se ne andava. Fu proprio così. Rividi P. Carlo in Italia, molto provato, ma sereno. Strappò ai medici il permesso di ritornare per qualche settimana, e fu un pellegrinaggio di saluto, abbreviato dall’aggravarsi delle sue condizioni. Qualcuno gli scattò una fotografia che lo riprese di spalle, mentre pedalava faticosamente su un sentiero fangoso, tenendo sul portabagagli della bici una grossa croce di legno da consegnare alla gente in attesa della sua visita. Una fotografia che dice tanto, tantissimo della sua vita, e che circola ancora adesso fra noi. Morì poco dopo il suo ritorno in Italia, a Cles, nel 1991. Dopo tanto tempo, a Marianpur e in vari “sotto-centri”, ancora organizzano ogni anno una giornata di ricordo e preghiera per lui, animata da un torneo di calcio: il “Menapace Football Tournament”. (Padre Cagnasso) Su Mondo e Missione, dicembre 1990, era apparso un articolo di padre Carlo: Mariampur le grandi donne delle fede” La Missione a volte è donna. Padre Carlo Menapace, del Pime a Mariampur (Bangladesh), raccontava come madri di grandi fede possono farsi irripetibili nella testimonianza di un cristianesimo concreto. Esperienze controcorrente per la dignità femminile in un paese islamico.    

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