Padre Giuseppe Venzo
Nato nel 1935 a Castelnuovo Valsugana (Trento), iniziò la formazione nell’Istituto nel 1956. Fu ammesso al Giuramento nel 1959 e ordinato Presbitero nel 1960. Servì l’Istituto in Italia dal 1960 al 1965. Partì per il Giappone nel 1965, con una breve parentesi in Italia nel 1974-1975. Passò al Brasile Sud nel 1993. Moriva il 15.04.2014 a Ibiporã (Brasile). È sepolto nel cimitero di Ibiporã (Brasile).
Umiltà paziente
Ogni volta che ripensavo a P. Venzo, dopo la sua partenza per il Brasile, mi veniva in mente il suo paese natio di Castelnuovo Valsugana, anche se io non ci sono mai stato, e mi sembrava di vedere P. Giuseppe in mezzo alla sua gente, circondato dalla stima e dall’affetto di tutti: perché era un uomo semplice e amabile, di natura gioviale, al quale potevi andare sempre. Era il contrario di ciò che in giapponese è descritto dall’espressione “shiki-i ga takai” (di difficile accesso). Questo dico perché forse più che in altri paesi, in Giappone siamo portati invece a notare e giudicare le differenze come difetti, secondo il proverbio giapponese che dice che bisogna schiacciare giù un chiodo che spunta fuori. Perché P. Venzo era estremamente originale, ed era difficile impacchettarlo. Ma la gente gli voleva bene, specialmente i bambini, perché vedevano il suo cuore. E per noi la sua partenza fu una grande perdita.
Racconterò del mio primo incontro con P. Venzo in Giappone. Era la mia prima estate ed ero andato a visitare i confratelli nella “Missione” di Saga: P. Giuseppe era parroco a Taku. Fu molto lieto quando gli telefonai che desideravo andarlo a trovare, e subito mi disse che lui non era bravo in cucina e che mi avrebbe portato al ristorante. E così fu. Era un ristorantino di paese, tipico del Giappone di una volta, con poco spazio, ma accogliente. Probabilmente un luogo dove P. Venzo era ben conosciuto. Ci fu dato un tavolo doppio, con quattro posti a sedere. E mentre ci raccontavamo le nostre cose, notavo che venivano servite quattro porzioni. Chiesi allora: “P. Venzo, attendiamo altri ospiti?” Al che, sorridendo: “Ma no! Siamo solo noi.” E poi la spiegazione: “Io ordino sempre doppia porzione perché qui in Giappone le porzioni sono sempre troppo piccole per noi! …”. Questo mi disse molto di P. Giuseppe, della sua originalità ma anche della sua attenzione. Ci eravamo conosciuti brevemente prima del suo arrivo in Giappone, ai Campi Estivi (a Velo d’Astico per essere precisi), dove lo ricordo nell’atto di declamare poesie e versi classici davanti ai ragazzi …, perché era anche un uomo di cultura. So che durante i suoi anni in Giappone collaborò con l’Editore Shobo per la pubblicazione del Dizionario di Giapponese-Italiano di H.Takahashi (1981). Ma nel contesto del Giappone, la sua personalità e il suo estro originale non sempre aiutarono il suo fervore missionario, per il quale eccelleva. Credo che lui abbia sofferto molto di questo stato di cose, e che questo forse è stata la causa della sua crisi, tanto che rientrò in Italia. Ma fu presto ridestinato alla missione, questa volta in Brasile, perché la missione era tutta la sua vita. Qui continuò a interessarsi del Giappone, che rimarrà la missione del suo cuore, dedicandosi anche ai cosiddetti “oriundi giapponesi” (NIKKEI), al qual fine si teneva aggiornato con materiale che gli veniva spedito regolarmente dal Giappone.
Tutta la sua vita amò il Giappone e i giapponesi. È stato per me un esempio di missionario umile, paziente, pio, … e fedele, e il ricordo di lui mi rasserena nelle difficoltà. P. Bianchin
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