Padre Igino Mattarucco
Nato il 14/10/1921 a San Lazzaro (Treviso), iniziò la formazione nell’Istituto nel 1938. Fu ammesso al Giuramento nel 1943. Ordinato Presbitero nel 1944, partì per la Birmania (Taungngu) nel 1948. Servì l’Istituto in Italia dal 1986 al 1993. Rientrato in Birmania moriva 12/12/2005 a Taunggyi (Myanmar) e riposa nel cimitero di Taunggyi.
Si spegne a Taunggyi, Myanmar, padre Igino Mattarucco, missionario del Pime. Aveva 84 anni.
La sua testimonianza di fede e di servizio agli ultimi in un suo racconto dalla missione…
“Là sulle nostre montagne birmane, dove si vive una vita ancor molto «primitiva» e lontana dal progresso moderno, la fame fisica e le situazioni di ingiustizia sono evidentissime: tanto più oggi con la situazione di guerriglia che stiamo vivendo.
Ebbene, da sempre i missionari hanno svolto opera sociale di aiuto agli affamati ed ai poveri, hanno condiviso la loro povera vita, hanno difeso gli oppressi, le minoranze, i perseguitati per qualsiasi motivo. Ma io ho toccato con mano – e questa è l’esperienza che vorrei trasmettere e non riesco – che il contributo essenziale, fondamentale, che il missionario e la Chiesa danno alla crescita di un popolo e alla liberazione da ogni oppressione, non è tanto l’aiuto materiale o tecnico, quanto l’annunzio di Cristo, la fede in Cristo, la fondazione della Chiesa, l’inizio e la crescita delle famiglie e delle comunità cristiane.
lo ho visto in concreto come una famiglia, un villaggio, una singola persona, diventando cristiana, passa da uno stato di passività, negligenza, divisione, ad un inizio di cammino di crescita e di liberazione. Il perché mi pare evidente ed è quanto andrebbe approfondito nella cosiddetta «animazione missionaria»: è Gesù Cristo che libera, che salva, che trasforma dal profondo (la persona, la famiglia, il villaggio, ecc.); è Gesù Cristo che «cambia il cuore» nel senso di una maggior umanità.
Non sono i nostri aiuti o impegni e strutture e insegnamenti, che rimangono sempre all’esterno, ma Gesù Cristo che scende nel profondo dell’uomo e vi opera quelle trasformazioni, senza le quali parlare di liberazione dalla fame e dalle ingiustizie non ha senso.
Ora, la mia esperienza di vita tra i non cristiani mi porta a concludere che la fame fisica dei popoli poveri è poca cosa a confronto della «fame di Dio» e di Cristo che essi, a volte pur confusamente, sentono. Essendo popoli profondamente religiosi (credo che anche gli africani siano così e anche i latino-americani!), la loro ricerca del «Dio che salva» è autentica, sentita, investe tutta la loro vita. La risposta che noi missionari e la Chiesa diamo alla loro fame è anzitutto questa: di annunziare e testimoniare che la liberazione viene da Cristo, cioè dalla fede che diventa vita, da una trasformazione profonda dell’uomo che porta a cambiare poi la situazione di disumanità in cui quest’uomo vive…”
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