Passaggio
Pochi mesi fa il vescovo lo aveva trasferito a Khidirpur, una piccola missione “staccata” dalla “parrocchia madre” di Mariampur, dove p. Giulio Berutti aveva lavorato anni fa. Era andato volentieri, raccogliendo l’eredità di P. Almir e poi del diocesano p. Ovidio, ed era molto contento. Il Covid lo ha colpito nel suo punto debole, i polmoni. Venuto a Dhaka e ricoverato in ospedale, dopo qualche giorno era stato dimesso, e accolto alla Casa del PIME. Non sembrava debilitato, e meno ancora demoralizzato o intristito. Parlava volentieri. Essendo positivo, rispettava la quarantena, ma quando andavamo a trovarlo, le distanze fisiche da rispettare non riuscivano a danneggiare una comunicazione vivace, intensa, scherzosa anche. “Mi piacerebbe tanto mangiare un po’ di pane, ma non quello a cassetta, quello tanto buono con il formaggio” disse una volta a p. Brice, che si tuffò su internet alla ricerca della ricetta e poi in cucina… Il primo tentativo non diede risultati entusiasmanti, il pane era quasi immangiabile. Ma il secondo andò meglio, e il terzo era buono…
Qualche cosa però non andava: Giulio ansimava, e mi chiedevo perché lo avessero dimesso in quelle condizioni. Infatti, dopo due giorni ebbe una crisi respiratoria notturna, e per non disturbare ci chiamò soltanto all’alba. Lo accompagnammo all’ospedale “Square”, grande e ben attrezzato, dove lo misero in terapia intensiva, sezione Covid, per trasferirlo poi quasi subito alla sezione comune; il nuovo test risultava negativo: buon segno! Per alcuni giorni Brice e io, a turno, trascorremmo con lui la mezz’ora concessa per vederlo. Visite brevi ma intense, piene di speranza, spesso affiancati da infermiere o altri impiegati dell’ospedale che l’avevano conosciuto come parroco, o direttore del St. Vincent Hospital, o come organizzatore del microcredito… “Come stai?”. “A dire il vero non capisco perché sono qui, mi sento bene, non ho disturbi…”. Con la maschera per l’ossigeno, certo, mentre i “monitor” ne segnalavano ostinatamente la scarsità…
Poi una telefonata fuori orario dal medico: bisogna intervenire. Andammo insieme, sperando di parlargli, ma il tubo era già stato collocato, era sotto anestesia e ci dissero che non intendevano risvegliarlo. “Come ha reagito?” chiesi. “Noi medici abbiamo fatto tutto ciò che sappiamo; ora…”. Il monitor indicava un livello di ossigeno nel sangue ancora più basso. Poi un’altra chiamata, di notte, e un’altra volta ancora arrivammo in ritardo. Il passaggio di Giulio si era completato.
La notizia ha provocato una piccola pioggia di interventi sull’indirizzo Whatsapp del PIME in Bangladesh. Attingo, ora, da queste reazioni dei suoi compagni di missione, e le lascio parlare. Non credo che occorrano commenti.
“Ciao P. Giulio! Così ti salutavo ogni volta che ti andavo a trovare nella tua stanza d’ospedale, da quella mattina del 13 luglio al St. Mary Vianney Hospital a quel pomeriggio del 9 agosto allo Square Hospital, due giorni prima di quei due lunghissimi giorni di sonno, in ventilazione assistita, dal quale non ti sei più svegliato. Non avevo immaginato che sarebbe andato a finire così, quando nel pomeriggio del 3 agosto ti portai lì, allo Square, uno dei migliori ospedali del Paese, per curare il tuo problema ai polmoni, trasferendoti dal St. Mary Vianney Hospital (l’ospedale della diocesi di Dhaka). Dei cinque padri del PIME di Dinajpur, ammalati di Covid, venuti a Dhaka in ambulanza per le cure, e ammessi in due ospedali nella capitale, che abbiamo accolto e assistito, eri l’ultimo di cui aspettavo con impazienza il risultato negativo al test di Covid 19 per fare un brindisi, che avrebbe marcato la conclusione del nostro pellegrinaggio negli ospedali. Ma non è avvenuto così. Il banchetto celeste ha prevalso sul brindisi terrestre.
Io ti ringrazio, carissimo P.Berutti di esserti fidato di me, uno degli ultimi arrivati/atterrati su questo suolo bengalese (4 anni fa) che hai calpestato per ben 50 anni aiutando a costruire il paese in alcuni suoi ambiti sociali. Mezzo secolo di storia di cui mi raccontavi spesso alcune pagine, e qualche volta al personale ospedaliero. Hai dato così anche a me la possibilità di dire qualcosa degli ultimi giorni dei tuoi 77 anni di vita. Che onore! In quel mesetto di frequentazione, che richiedeva anche spesso di dettare al personale dell’ospedale la giusta ortografia del tuo nome e aiutarli a pronunciarlo, sono rimasto colpito dalla tua forza di volontà e d’animo, dalla tua mente forte, dal tuo profondo senso di gratitudine e dal tuo realismo spietato, per cui CE L’HAI FATTA: hai anticipato la fine, la tua morte. Infatti, due giorni prima della fine, verso le cinque di pomeriggio, quando sono entrato nella tua stanza in cura intensiva, appena ti è giunto il mio saluto “ciao p. Giulio” ti sei svegliato dal pisolino, mi hai salutato e mi hai detto: “Se devo vivere vivrò e se devo morire morirò, io sono pronto; sono in pace con tutti” e mi hai fatto una confidenza circa una tua ultima volontà. Poi abbiamo pregato, hai fatto la Comunione e ti ho dato la benedizione. Dopo ti ho dato il tuo telefono, che ti portavamo (p. Franco e io) da casa quando ti venivamo a trovare, l’hai aperto, hai letto e scritto qualche messaggio e me l’hai riconsegnato. Hai mandato i saluti a p. Baio e a P. Franco, mi hai ringraziato di essere venuto, mi hai teso la mano e rivolto un ciao commosso, come se sapessi che poteva essere l’ultimo, e così è stato. Grazie di cuore padre Giulio Berutti. Arrivederci lì. Brice”
“Grazie, caro Brice, per questa bellissima testimonianza di affetto e di cura nei confronti di Giulio, che certamente sorriderà, commosso, dal cielo. Francesco”
“Ieri al PIME di Rancio abbiamo ricordato il nostro carissimo Giulio. Prima di partire gli avevo telefonato e lui mi confidava che era contento e in pace in quel di Khidirpur. Anche il suo saluto era carico di affetto e amicizia. Un gran bel dono. Carissimi Brice e Franco grazie per tutto quello che fate e per come lo fate. Riconoscente vi abbraccio. Ciao. Gian Paolo”
“… sempre schietto fino all’ultimo, una preghiera speciale per te p. Giulio! Pierfrancesco”
“Grazie Brice, per il modo vero come hai scritto degli ultimi giorni di p. Giulio. Il funerale, a Kosba come a Khejurpur è stato molto bello il modo come tanti hanno saputo ricordare la vita missionaria di p. Giulio. Andiamo avanti, ma persone così come Adolfo e Giulio ti mancano davvero tantoooooo. Almir
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