Ponti
Anni fa, per parecchi mesi, ebbi un incubo ricorrente: mi trovavo su un altissimo “ponte”, una fila di pali di bambù, uno dopo l’altro, appoggiati orizzontalmente su traballanti cavalletti di altri bambù piantati sul fondo del fiume; bisognava camminare in equilibrio su quell’unico bambù, appoggiandosi con una sola mano a un’unica “sponda” (sì, anch’essa di bambù e traballante). Grandi e bambini, persino vecchi, lo facevano con disinvoltura, ma a me era già capitato di “impuntarmi” a metà e non riuscire a proseguire, nè avanti nè indietro, mentre alle mie spalle la fila si allungava e quella di fronte, sulla riva, aspettava il suo turno e s’inquietava: vi muovete sì o no o no? Ne uscii anche quella volta senza volare nell’acqua, ma nel sogno il ponte mi appariva ad altezza vertiginosa, lunghissimo, e io ero sempre là, accovacciato su un bambù che oscillava…
Se ne vedono ancora di ponti così, ma pochi ormai. Lo sviluppo del paese ha privilegiato le strade, e i trasporti fluviali di persone e di merci hanno perso importanza. Abbiamo ora ponti di ogni dimensione, e altri sono in costruzione. Il 10 dicembre scorso, a sud di Dhaka, una enorme chiatta speciale ha sistemato su pilastri l’ultimo di 22 tronconi in cui è suddiviso il nuovo ponte sul fiume Padma, formato dalla congiunzione del Brahmaputra che, entrando dal Nord, nella parte centrale del Bangladesh, si immette nel Gange, proveniente da nord-ovest. In questo modo il Bangladesh è suddiviso in tre quadranti: est, nord-ovest, sud-ovest.
Per passare dall’uno all’altro quadrante era indispensabile fare uso di barche, battelli, traghetti. Il primo che unì due quadranti (nord-ovest e sud-ovest) fu il ponte ferroviario sul Gange, costruito dai Britannici durante il periodo coloniale, e poi affiancato da un ponte stradale. Seguì, nel 2000, il ponte sul Jamuna (Bramaputra) che collega il quadrante est con il nord-ovest; cinque chilometri di lunghezza, opera realizzata sotto la responsabilità di ditte coreane, che ovviamente subappaltarono parte del lavoro ad altre ditte – anche italiane. Ne venne un grande beneficio per tutto il nord-ovest, ma in pochi anni i tempi di viaggio fra nord e centro si prolungarono di nuovo, perché le vecchie strade non reggevano l’aumento del traffico ed erano sempre più affollate, con ingorghi giganteschi… Si mise mano ai lavori sulla strada che, dopo anni di disagi enormi per i viaggiatori, hanno reso largo e comodo il tratto da Dhaka fino al ponte, e ora stanno facendo tribolare i viaggiatori del tratto nord, che si consolano sperando che un giorno tutto sarà finito.
Mancava il collegamento del quadrante est, con il sud-ovest, ma con il ventiduesimo pezzo sistemato il 10 dicembre scorso, ora fra le due sponde c’è un ponte lungo oltre sei chilometri. Mentre si aspetta con ansia che questo importante elemento di sviluppo diventi percorribile (entro la metà del 2022), ci si rallegra di questo successo ormai sicuro con un tratto di orgoglio tutto particolare. Si pensava infatti che il ponte sarebbe stato finanziato per 1,2 miliardi di dollari dalla Banca Mondiale e – al suo seguito – la Banca Asiatica per lo Sviluppo e la Banca Islamica per lo Sviluppo avrebbero contribuito ulteriormente. Ma quando, dopo varie revisioni, i preventivi dei costi aumentarono vertiginosamente, nel settembre 2011 si parlò di corruzione e la Banca Mondiale si ritirò; così fecero le altre, mandando in fumo la prospettiva di ricevere miliardi di dollari.
Il governo ebbe un sussulto di orgoglio. Un’inchiesta della Commissione Anti Corruzione del Bangladesh sostenne che non c’erano prove di reati, e la Primo Ministro Sheikh Hasina disse: “Vogliono che chiediamo l’elemosina, che continuiamo come porcellini d’India (sic). Andremo avanti con il progetto usando le nostre risorse”, e decise di procedere comunque, con le proprie forze. Sembrava più una sfida destinata a fallire che una scelta politica ragionata, ma Hasina ridusse i finanziamenti destinati ad altre grandi opere, affidò l’opera a due ditte cinesi, impose balzelli provvisori qua e là, emise speciali obbligazioni – e iniziò i lavori. Si fece anche un’inchiesta da parte della Banca Mondiale, affidata a inquirenti canadesi, che conclusero sostenendo che non c’erano prove di corruzione. Ma la discolpa non fece ritornare sui propri passi la Primo Ministro che non tornò indietro a chiedere aiuto. Quando la struttura portante è stata completata, ha commentato: “Volevo far vedere che possiamo farcela. E oggi lo vedono”.
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