Preghiera dal respiro missionario
Santa Giuseppina Bakita. Nacque nel 1869 nel Sudan. Raccontare di lei vuol dire richiamare migliaia di uomini, donne, bambini che in ogni parte dell’Africa sono stati schiavizzati, torturati, uccisi…Una deportazione mai finita che continua ancora oggi in maniera diversa e si espande alle frontiere o lungo le coste della penisola. Bakita non è il suo vero nome; all’età di otto anni viene rapita e per lo spavento provato dimentica tutto il suo breve passato, anche la sua identità. I suoi rapitori per una sorta di ironia la chiamano Bakita, che significa fortunata e con questo nome l’abbiamo conosciuta.
In piena guerra mondiale l’8 dicembre del 1943 madre Giuseppina compie cinquant’anni di vita religiosa fra le Figlie della Carità con grande festa da parte di tutti che la considerano già una santa. Con l’anzianità sopraggiungono ancora sofferenze lunghe e dolorose che Bakita accetta e offre. Durante la sua agonia rivive i terribili giorni della sua schiavitù e più volte implora l’infermiera che l’assiste: “Mi allarghi le catene…pesano!” E prima di morire l’8 febbraio 1947 ha il coraggio di dire ancora: “Me ne vado, adagio adagio, verso l’eternità…Me ne vado con due valigie: una contiene i miei peccati, l’altra, ben più pesante, i meriti infiniti di Gesù Cristo. Quando comparirò davanti al tribunale di Dio, coprirò la mia brutta valigia con i meriti della Madonna, poi aprirò l’altra, presenterò i meriti di Gesù e dirò all’Eterno padre: ‘Ora giudicate quello che vedete!’ Oh sono sicura che non sarò rimandata! Allora mi volterò verso S. Pietro e gli dirò: Chiudi pure la porta, perché resto!” Cosa dire di questa donna? Si dovrebbe pensandola cantare il Magnificat: …Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente è santo è il suo nome. Grandi cose ha fatto davvero Il Signore nel suo animo, prima di tutto le ha fatto sperimentare la misericordia persino verso i suoi persecutori; le ha donato la grazia di riconciliarsi con la sua storia travagliata, di guarire nella memoria.
L’amore per la sua terra non l’ha mai abbandonata, questo vasto Continente così ricco di umanità e afflitto da gravi ingiustizie. Una preghiera composta da lei in occasione della sua professione religiosa esprime questa nostalgia struggente: “O Signore, potessi volare laggiù presso la mia gente predicare a tutti a gran voce la tua bontà: oh, quante anime potrei conquistare fra i primi, la mia mamma, il mio papà, i miei fratelli, la sorella mia, ancora schiava…tutti, tutti i poveri negri dell’Africa, fa’ o Gesù che anche loro ti conoscano e ti amino”. Alla sua morte una folle numerosa si è riversata nella casa di Schio per vedere e piangere la santa madre Moretta. Giovanni Paolo II l’ha proclamata santa il 1 ottobre dell’anno giubilare del 2000 e la sua memoria si celebra l’8 febbraio. Il papa ha detto:
“La vita di Giuseppina Bakita si consumò in una incessante preghiera dal respiro missionario, in una fedeltà umile ed eroica alla carità, che le consentì di vivere la libertà dei figli di Dio e di promuoverla attorno a sé. Nel nostro tempo, in cui la corsa sfrenata al potere, al denaro, al godimento causa tanta sfiducia, violenza e solitudine, Suor Bakhita ci viene ridonata dal Signore come sorella universale, perché ci riveli il segreto della felicità più vera: le Beatitudini. Il suo è un messaggio di bontà eroica ad immagine della bontà del Padre celeste. Ella ci ha lasciato una testimonianza di riconciliazione e di perdono evangelici, che recherà sicuramente conforto ai cristiani della sua patria, il Sudan, così duramente provato da un conflitto che dura da molti anni e che ha provocato tante vittime”.
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