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Promesse

Entrambi hanno uno stile sobrio, di poche parole, non chiuso, solo con un po’ di timidezza; ora hanno in comune anche una promessa pronunciata insieme. Ma le loro storie sono diverse. Tijes Mri appartiene alla popolazione Mandi. È diffusa specialmente nel nord est del Bangladesh e al di là del confine, in India; ha un alto numero di immigrati in città; è quasi completamente di religione cristiana: specialmente cattolici e battisti… Ha una cultura e un’organizzazione sociale “matrilineare”: i figli prendono il cognome della mamma, è il marito, non la moglie che dopo il matrimonio si trasferisce nella casa dei suoceri, l’eredità è in gran parte destinata alle figlie… I Mandi del Bangladesh sono stati evangelizzati soprattutto dai missionari americani della Santa Croce. Il PIME non ha mai operato nelle loro zone, e Tijes non ci conosceva. Ci ha incontrati grazie ad un amico, pure lui Mandi, che era venuto a studiare e lavorare a Dhaka e gli parlò con soddisfazione del “Samuel Program”. È una serie di incontri che – coinvolgendo suore e preti di diversi istituti – il PIME da anni organizza per ragazze e ragazzi che, dopo il liceo, vogliono riflettere e pregare sulla loro vocazione, in vista di una scelta matura. Tijes abitava lontano, presso uno zio che lo ospitava per permettergli di studiare al College della cittadina dove risiedeva, e da lui aveva imparato un metodo di preghiera contemplativa che gli piaceva e praticava fedelmente. Ora il “Samuel Program” lo attraeva, e si impegnò a partecipare, incoraggiato dallo zio che vedeva di buon occhio la sua ricerca vocazionale. Risparmiava al centesimo per poter partecipare agli incontri, dove interveniva sempre con poche parole, ma molto a proposito. Trascorse anche qualche mese nella nostra comunità formativa, mentre preparava l’esame finale del College, e questo tempo aiutò ad aumentare la confidenza reciproca fra lui e i missionari, che lo presentarono al seminario filosofico nazionale come “candidato del PIME”, verso la strada della missione a vita. Shaon Caesar, come dice il cognome – che è “Rosario” – appartiene ad una famiglia discendente di bengalesi diventati cristiani alcuni secoli fa, per influsso di commercianti e missionari portoghesi. Un gruppo di loro, all’inizio del secolo scorso, lasciò l’area di Dhaka spostandosi al di là del Brahmaputra, dove trovarono terre coltivabili a prezzi accessibili, e formarono alcuni villaggi con popolazione cristiana cattolica. Fra questi, anche Borni, dove il PIME fondò la missione di Mariabad, e dove Shaon nacque. Ha respirato dunque aria di PIME fin da piccolo; la sua famiglia fu in buoni rapporti con parecchi nostri missionari, fra cui p. Luigi Pinos, e ne ha un ottimo ricordo. In realtà, lui – giovane – non li può ricordare, ma fin da piccolo si è sentito attratto da ciò che vedeva e che sentiva di loro. Lo attirava molto il loro “andare verso” la gente, e l’idea che fossero venuti da lontano per parlare di Gesù. Voleva essere “come loro”, ma fu consigliato di entrare nel seminario diocesano, dove completò bene il College, e dove con molta prudenza e qualche timore continuò a chiedersi se e come passare al PIME. Mentre studiava filosofia – compagno di classe di Tijes – la decisione maturò, e alla fine del biennio il “salto” avvenne, con permesso e benedizione del Vescovo. Così per Tijes e per Shaon arrivò il momento di continuare la formazione in Italia, con l’anno di studio della lingua e poi il periodo di spiritualità. I superiori accolsero la loro richiesta, ma eravamo nel 2020, in piena pandemia, e non fu possibile partire. “Pazienza – si sentirono dire – se non potete venire, ci organizziamo lì da voi!”. Rimasero nella nostra comunità di Dhaka, con un programma affidato a p. Rapacioli, con la collaborazione di p. Brice, p. Parolari e del sottoscritto: quattro “professori” per due alunni… non c’è male! Infatti, andò bene. Ecco perché lo scorso 11 giugno, dopo vari rinvii dovuti alle restrizioni di movimento che il governo continuava a rinnovare, si organizzò la celebrazione della “promessa”. Si fece nella chiesa di santa Cristina, la prima parrocchia fondata dal PIME nell’area di Dhaka, e passata da tempo sotto la responsabilità del clero locale. Per seguire la regola anti-virus, gli invitati erano pochi, ma i genitori di entrambi, Tijes e Shaon, con qualche fatica in più riuscirono a venire, insieme ad alcuni altri famigliari, – contenti. I due hanno ricevuto la “veste talare” bianca, segno del loro cammino formativo verso il presbiterato, e hanno pronunciato la “promessa”. Di che cosa? Prima di tutto hanno espresso la volontà precisa di diventare missionari del PIME a vita, e poi hanno promesso di impegnarsi a fondo per seguire bene la preparazione, nell’istituto e con la guida dell’Istituto. La formazione li accompagnerà alla “promessa definitiva” di essere missionari di Cristo, nel e con il PIME, per sempre. Come delegato del Superiore generale, la promessa è stata accolta e tutta la celebrazione è stata presieduta da p. Brice Tambo, missionario camerunese in Bangladesh, che indossava la bella casula ricevuta in dono anni fa per la sua prima Messa, ricca di simboli africani: il PIME del futuro sta arrivando… Ora i due, diventati amici, andranno in Italia per continuare a Monza il loro cammino; con loro dovrebbero andare altri quattro, che nel frattempo hanno finito il biennio filosofico nel seminario nazionale. E se di nuovo il Covid 19 metterà il bastone fra le ruote? Una via per andare avanti – e andare avanti bene – si troverà!

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