Quelli che muoiono ci insegnano a vivere
Il nuovo vescovo di Constantine et Ippona, Nicolas Lhernould scrive: «È solo un anno da quando sono arrivato in Algeria. Scopro ogni giorno molto. E spero di non smettere mai di scoprire.
Ventidue anni dopo, anche queste righe mi toccano molto. Attraverso questa miscela di sofferenza e speranza aperta all’universale, che dà forza e luce in questo tempo di pandemia globale. Perché senza la continua meraviglia della scoperta, si appassisce rapidamente come una pianta priva di luce.
Al “Memoriale per la nostra preghiera nell’Islam”, il 25 marzo 2021, ho scoperto la figura di Soumia Lamri, morta di cancro alle ossa ad Ain Sefra il 25 marzo 1999, all’età di 17 anni e mezzo, dopo tre anni di lotta alla malattia. Padre François Cominardi dei Padri Bianchi, che raggiunse Soumia nella luce sei anni dopo, ha scritto: “Nonostante tre operazioni, la malattia si sta diffondendo. Sa di essere condannata a breve termine e, sebbene credente, teme l’ascesa della sofferenza: “Piuttosto morire che soffrire così tanto”. È ricoverata in ospedale e un intero team medico la circonda di cure amorevoli, sostenendo il suo coraggio e la sua fede, assicurandosi che non abbia carenza di antidolorifici per alleviare il suo dolore. A volte le cose migliorano, vuole ascoltare la musica, leggere la rivista “Hayat (“Vita”), fare le parole crociate, guardare la TV… A volte la troviamo prostrata, insensibile [a causa dei medicinali]… Spesso si lamenta e persino urla per il dolore. Stomaco, fegato, polmoni, il male è ovunque. Una mattina, la trovo nel peggiore dei casi. Si sente morire. La vedrò sempre pronunciare la sua professione di fede con tutte le sue labbra, senza che dalla sua bocca esca alcun suono, i suoi grandi occhi rivolti al cielo, con straordinaria concentrazione e solennità. Gli tengo la mano, accompagnando la sua preghiera: “Soumia, Dio, il Misericordioso, pieno di tenerezza, ti aspetta, è pronto ad accoglierti”. Approva con il tocco delle sue dita. Il 25 marzo 1999, Soumia partì per il suo Creatore: un’enorme folla nel cimitero. Otto giorni dopo, sua madre mi diede il taccuino in cui aveva trascritto tre poesie, scritte da quando sapeva di essere condannata».
Ecco un estratto dalla seconda di queste poesie: «Una malattia si è depositata sulla mia anima, il mio piede scivola via dal mio movimento. Una malattia che mi ha fatto perdere il respiro della mia giovinezza, e ha ucciso tutti i miei sogni dentro di me. I miei sogni da ragazza, sogni di pace e tranquillità. Una malattia che mi terrorizza durante il giorno, e tormenta le mie notti con i tormenti del giorno dopo. Potrebbe esserci qualche guarigione, Signore, una guarigione da Te, per me e per tutti i miei fratelli? Sei il Signore, il nostro pastore, il nostro Benefattore, colui che ci fa vivere e morire, Signore. Signore, rispondi alla mia preghiera, e alle preghiere di tutti i miei fratelli. O Signore dei mondi. O Creatore di tutta la creazione».
«L’impatto di queste lunghe settimane di sofferenza e del coraggio di Soumia è stato molto forte su tutti coloro, parenti, amici, personale ospedaliero che l’hanno accompagnata fino alla fine». Ha concluso padre François: «Soumia, manterremo il ricordo del tuo sorriso doloroso durante il tuo calvario e la tua fede luminosa. Possano queste poche poesie che ci hai lasciato, aiutarci ad affrontare la vita con più coraggio… tanto è vero che quelli che muoiono ci insegnano a vivere».
Articoli correlati
Mare Mosso
E’ trascorso un mese dal mio arrivo in Bangladesh. Sapevo che dallo scorso luglio la vita di questo grande paese con …
Dall’Iran all’Italia per arrivare alle Olimpiadi di Parigi
Nella squadra olimpica dei rifugiati, ci sono anche due giovani iraniani, Iman Mahdavi e Hadi Tiranvalipour, che in I…
Ritorno
Eccomi qui, di nuovo con una “scheggia” certamente inattesa: la precedente, numero 239, risale a più di un anno fa: n…