Sinfonia
“Condividere la mia fede in Gesù, parlare di lui con qualcuno che non lo conosce, accompagnarlo, con l’aiuto dei catechisti, nel catecumenato, fino al Battesimo, è la cosa più bella della mia vita missionaria; un’esperienza sempre emozionante.”
Lo dice p. Almir, missionario del PIME brasiliano, parroco a Mohespur, una missione nel nord del Bangladesh, durante l’Assemblea Regionale cui i missionari del PIME hanno partecipato dal 23 al 25 novembre scorso – la prima (finalmente!) dopo due anni di “digiuno” dovuto alla pandemia. Giornate molto belle, di amicizia e condivisione, che avevano in particolare lo scopo, suggerito dal nostro Superiore Generale, di verificare quanto siamo effettivamente impegnati nelle tre aree che costituiscono gli obiettivi fondamentali del PIME oggi: Primo annuncio, Dialogo interreligioso, Attenzione agli ultimi. Dobbiamo, aveva scritto il superiore p. Ferruccio, essere capaci di cambiare là dove è necessario, quando ci accorgiamo che questi obiettivi non sono perseguiti, o perché i cambiamenti della società e della chiesa chiedono modi nuovi di presentarsi e di agire. Nella preghiera che recitiamo in preparazione alla prossima Assemblea Generale ci esprimiamo così: “In un mondo che è cambiato e cambia rapidamente, il tuo Spirito ci guidi a sfuggire alla tentazione di attaccarci ad un passato che non c’è più, o di affidarci a mode e lusinghe inconsistenti. Aiutaci a non essere succubi della mentalità di questo mondo, ma a lasciarci trasformare rinnovando il nostro modo di pensare, per poter discernere e compiere la tua volontà, ciò che è buono, a te gradito e perfetto (cfr. Rom 12, 2).
Ciascuno ha presentato ciò che fa e come vive, tenendo presente questa “pista” di riflessione. Ne è emersa una panoramica molto varia, a conferma la mia convinzione che non si può limitare la definizione della missione e dei suoi obiettivi ad una dimensione sola. Fra chi ci osserva, c’è chi lamenta che i missionari oggi fanno solo opera sociale e non “annunciano”, e c’è chi – da un altro punto di vista – proclama che “al giorno d’oggi non ha senso convertire”. P. Almir, arrivato in Bangladesh abbastanza recentemente, è attivissimo, ha una grande fantasia e varietà di impegni. Fra i giovani, offrendo loro buona istruzione e formazione, negli ostelli e con varie iniziative: gite in bicicletta, tornei di calcio (primo premio, di solito, un bue), corsi di formazione, lavoro insieme… Fra i malati, visitandoli anche in villaggi lontani, aiutando a trovare un buon medico, ricorrendo al nostro ospedale quando occorre; favorisce il microcredito, e molto altro. L’obiettivo è certamente “sociale”, anche se preferirei dire che è quello di tradurre in opere l’attenzione che ha per loro. E in questa attenzione attiva, in tutto questo lavoro, il momento più intenso e bello è quello in cui può “presentare Gesù a qualcuno che non lo conosce”, e accompagnarlo sul suo cammino. E questo avviene!
P. Almir ha anche aggiunto che fra i suoi impegni non c’è alcuna iniziativa specifica di dialogo interreligioso. Qualcuno di noi, come P. Francesco, opera anche su questa linea, con incontri per conoscersi, scambiare idee, condividere. Non siamo in molti a farlo in modo formale e organizzato; ma la vita quotidiana comporta quasi per tutti noi contatti vivi, sia di lavoro, sia informali, con persone di altra fede, a volte anche aiuti reciproci e confidenze. Sono “dialoghi di vita” che non si fanno notare ma creano un’atmosfera di rispetto di cui c’è grande bisogno.
“Essere lì, fra queste persone di altra fede, è in sé un annuncio, e Dio conosce i frutti che ne verranno”. Questo commento fa da contrappunto e si armonizza benissimo con l’affermazione di p. Almir e con la nostra esperienza quotidiana. È relativo al servizio di p. Carlo Buzzi, che ha aperto un gran numero di piccole scuole in villaggi non cristiani remoti e marginali, per rimediare alla scarsa qualità delle scuole statali. Ma si può applicare a tutti noi: chi opera fra persone afflitte da dipendenze (alcool, droghe varie), fra bambini di strada, fra ammalati, o chi cerca di essere attento alle povertà e alle emarginazioni “spicciole”, poco visibili, o date per scontate: “della vedova e dell’orfano”, “del cieco e dello zoppo”, “dello straniero e dello schiavo”, o del viandante picchiato e derubato dai briganti, come si esprime la Bibbia in tanti e vari contesti.
“Questi tre obiettivi – ha detto p. Dino – li abbiamo tutti nel DNA”: nelle parrocchie o fuori, nelle città e nel mondo rurale, fra bengalesi e fra aborigeni… li per seguiamo in vari modi.”
Ascoltavo gli interventi mormorando il mio “grazie” a Colui che ci ha chiamati, e che ci fa dono di partecipare a questa che non esito a chiamare una “sinfonia dello Spirito”. Forse non siamo alla “Prima della Scala”, siamo alle prove, e qualche stonatura c’è, ma non è il caso di scandalizzarsi.
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