Tibhirine: sono ancora vivi
Due donne desiderano parlarmi. «Noi veniamo spesso a rivedere il luogo dove attendevamo per essere accolte dal dottor Luc, uno dei sette monaci. Era il nostro papà. Non solo ci curava, ma si interessava a noi, ci consigliava. Partivamo contente, serene. Sentivamo l’affetto di un padre».
Tibhirine, dopo gli anni del silenzio, sta vivendo una vita nuova. Il film Uomini di Dio è suonato come uno squillo di Risurrezione, come la rottura della diga che tratteneva l’acqua della sorgente viva della parola del monastero, parola di monaci, parola di Dio.
Oggi a Tibhirine li senti vivi. Tutto parla ancora. Ogni giorno arrivano persone di varie nazionalità, anche parecchi algerini. I primi e i più fedeli sono i membri delle ambasciate che risiedono ad Algeri. Col belga Federico e la milanese Francesca accendiamo sette lumini sulle tombe dei sette martiri. Tombe di pietra con una targa e il nome. Semplicità assoluta.
Prima di partire dal Belgio, Federico aveva detto al suo gruppo di preghiera: «Vado a Tibhirine». Subito, una anziana signora corse a cercare e a dargli sette lumini dicendogli: «Accendili per me».
Accendendoli, ho pensato a quanti di voi vorrebbero essere con me per sentire l’emozione, lo sconvolgimento interiore e poi il senso di pace, di serenità, di libertà crescenti davanti alle loro tombe. Tibhirine, anche se continuamente visitato, resta luogo pieno di silenzio e di preghiera.
Ho letto nel quaderno che raccoglie le testimonianze dei visitatori: «Mio Dio, nelle tue mani è il mio destino. Mi trovo qui per caso, ma il caso non esiste. Tu ci stai dentro. Ti ringrazio per tutto quello che scopro nel popolo algerino. Tu sei la mia guida. In te confido, grazie Signore».
«Lo spirito dei monaci cammina con noi, col loro umanesimo, con la loro fraternità. Un esempio da vivere insieme, cristiani e musulmani».
Il silenzio è interrotto dal rumore di un trattore. Padre Jean Marie Lassausse sta caricando letame e lo sparge sul terreno. Ha preso in consegna Tibhirine nel Duemila, in attesa che altri monaci arrivino. È diventato il Giardiniere di Tibhirine, come racconta il suo libro (San Paolo, 2011) assieme a due operai algerini, gli stessi che lavoravano con i monaci. Recentemente, si sono aggiunti Anne e suo marito Hubert, diacono, che aiutano a mantenere il monastero accogliente. Lavora la terra come la lavoravano i monaci perché la terra, l’Algeria, continui a produrre frutti di ogni specie, soprattutto quelli seminati dallo “Spirito di Tibhirine”.
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