Trasloco
“Fonti solitamente bene informate” mi avevano dato la “piccante” informazione che la “Church of Bangladesh” (Anglicani) aveva sfrattato i Fratelli della Comunità di Taizè, che da 35 anni usano un terreno messo a loro disposizione per la loro comunità e per il loro servizio ecumenico. Si trova a “Circuit House”, la zona più bella di Mymensingh, dove nei tempi coloniali i britannici avevano sistemato i funzionari della città. Una cappella, casette, tanto verde, accanto a un magnifico lungo-fiume… La Comunità di Taizé era venuta in Bangladesh all’inizio degli anni ’70, per non rimanere chiusa solo nell’Europa benestante. Li aveva accolti mons. Joaquim, Vescovo di Chattogram, il più “ecumenico” fra i 4 vescovi cattolici di allora. Poi si spostarono a Dhaka, però l’arcivescovo li guardava un po’ di traverso, non capendo bene “che cosa” fossero, e si sentì sollevato quando gli anglicani si fecero avanti, offrendo loro il posto alla “Circuit House”. Di là partivano per contatti con tutte le denominazioni e i gruppi cristiani presenti in Bangladesh, per organizzare incontri di preghiera e formazione ecumenici e interreligiosi, e – in Mymensingh stessa – per occuparsi di bambini che vivono in strada, o alla stazione ferroviaria, e di persone di ogni età in difficoltà per disabilità varie.
Uno dei Fratelli, Frank, raccolse disabili mentali abbandonati, affidandoli a Naomi Iwamoto, una volontaria giapponese. La comunità venne poi associata a “L’Arche Internationale”, e continua ancora, anche dopo la sua morte. I Fratelli avviarono laboratori di artigianato per disabili, piccoli movimenti di studenti per la pace e per l’assistenza ai malati negli ospedali e altro. Poi… lo sfratto, come mai? “Sembra che gli anglicani vogliano mettere a Circuit House un loro ostello.” Mi dissero. In cambio, proponevano un posto per nulla attraente, in area rurale, e con strutture insufficienti.
Che cosa era successo?
Era successo che le informazioni erano sbagliate. In realtà, da tempo i Fratelli volevano lasciare quella sede ormai rumorosa, dove nei giorni festivi migliaia di persone passeggiano (con gelato e giro in barca) lungo il fiume, e nei giorni feriali giocano a cricket, spacciano e usano droga, la fanno da padroni. La “Church of Bangladesh” di nuovo è venuta loro incontro, offrendo un altro posto che risponde a ciò che cercavano: più tranquillo e fuori dalla città.
I Fratelli in questi decenni hanno sviluppato iniziative originali per e con i poveri, ora sentono che sono i giovani a essere trascurati, anche perché sono una realtà nuova. In passato, si incominciava a lavorare da bambini, ci si sposava poco dopo i 15 anni, rimanendo sotto tutela degli adulti dentro la struttura della “famiglia allargata”: la “fascia giovane” non esisteva con una propria identità. Con il diffondersi delle scuole superiori e dei college, i giovani oggi non lavorano e non si sposano, spesso vivono fuori casa per ragioni di studio; formano un gruppo sociale chiaramente identificabile, con le sue esigenze e i suoi problemi. Fra questi, una secolarizzazione che attraversa tutte le religioni, lasciandoli spesso senza orientamenti morali e sociali, e afflitti dalla diffusione della droga. I Fratelli vogliono essere più chiaramente identificati come “sannyasi”, persone dedite alla preghiera e all’ascesi, ma aperte all’incontro, al dialogo attento con tutte le denominazioni e le religioni, e con i giovani, proponendo momenti formativi e di servizio ecumenici, preghiere, silenzio… Come, negli anni ’70, il PIME dopo tanti anni di evangelizzazione nei villaggi più remoti, decise di aprirsi alle città perché la gente si spostava là in cerca di lavoro – così ora i Fratelli di Taizè passano alle zone rurali, per offrire ai giovani momenti di “distrazione” dalla loro vita urbana, che rischia di ubriacarli con il consumismo, di sfociare in movimenti politici corrotti, o deviare nel fondamentalismo radicale e violento…
Articoli correlati
Mare Mosso
E’ trascorso un mese dal mio arrivo in Bangladesh. Sapevo che dallo scorso luglio la vita di questo grande paese con …
Dall’Iran all’Italia per arrivare alle Olimpiadi di Parigi
Nella squadra olimpica dei rifugiati, ci sono anche due giovani iraniani, Iman Mahdavi e Hadi Tiranvalipour, che in I…
Ritorno
Eccomi qui, di nuovo con una “scheggia” certamente inattesa: la precedente, numero 239, risale a più di un anno fa: n…